Dispersione scolastica: appunti che alimentano il dibattito

Con questo articolo di Mario G. Dutto continuiamo il confronto avviato con Giorgio Allulli su come concretamente affrontare il problema della dispersione. Il dibattito è aperto al contributo di lettori ed esperti.

“Questa nota contiene alcuni appunti sulla questione della dispersione scolastica, autorevolmente e compiutamente sollevata da Tuttoscuola e, in particolare, documentata dal relativo dossier “La scuola colabrodo”. Non derivando da un’analisi approfondita è esposta a possibili imprecisioni entrando in un’area affollata da una ricca e varia bibliografia e risente delle inevitabili approssimazioni in un testo di poche pagine. L’intenzione è, comunque, di contribuire al dibattito in corso.

Prima di entrare nel merito e di avanzare qualche suggerimento alcune premesse sono necessarie.

1. La ‘scuola colabrodo’

La tradizionalizzazione delle questioni in campo educativo ne assicura, senza dubbio, la sopravvivenza nel tempo, ma talvolta ne limita anche la comprensione sotto il peso di categorie consolidate che diventano le coordinate accettate delle opinioni correnti. Dopo l’abate di Barbiana è mancato un ‘cigno nero’ per visioni alternative in grado di rivisitare diagnosi e terapie, condivise ma consunte dal tempo e dalla non azione, di quella che il presidente Mattarella ha definito un’ “amputazione civile”. I numeri del dossier di Tuttoscuola scuotono l’affollato bandwagon della dispersione scolastica e possono sollecitare riflessioni all’insegna del prammatismo e del realismo uscendo da quel fatalismo implicito cui l’inerzia sembra averci condotto.

a. La scuola secondaria per tutti: un obiettivo ancora da raggiungere, non solo per l’Italia

L’abbandono scolastico e, più in particolare, la mancata conclusione dei percorsi, siano generalisti o tecnici e professionali, di scuola secondaria superiore, sono gravidi di conseguenze per il capitale professionale del nostro paese oltre a denunciare il fallimento delle istituzioni formative e a preoccupare per i destini degli studenti. I giovani di 23-35 anni che hanno concluso la scuola secondaria in Italia sono, ancora oggi, in misura decisamente inferiore a quelli di altri paesi: nel 2016 il 26% di essi non aveva terminato il ciclo secondario a fronte di valori pari al 16% dei paesi OECD e al 15% nei paesi EU22 (OECD, Education at a glance 2017, p.53). È l’esito di un’eredità di cui è impossibile liberarci a breve.

La generalizzazione della scuola secondaria rimanda, come obiettivo politico, a scelte progressiste degli anni 1970 e dei successivi decenni: i giochi, tuttavia, non sono chiusi e sarebbe un errore interpretare le intenzioni di allora alla stregua dell’obbligo scolastico riferito al primo ciclo dell’istruzione. Per la verità, infatti, la scuola secondaria per tutti rimane ancora un obiettivo non solo per il nostro paese di cui non si può certo ignorare il ritardo sulla tabella di marcia (cfr la tabella seguente).

I dati statistici sulla conclusione della scuola secondaria sono ben lontani dal 100% delle rispettive classi di età anche nei paesi considerati leader nelle politiche educative (si vedano i dati relativi al 2015 in OECD, Education at a glance 2017 p.164). Seguendo le coorti di studenti di un certo numero di paesi per i quali i dati sono disponibili (l’Italia è assente) solo il 68% degli studenti (58% nei percorsi professionali) porta a termine il ciclo superiore nei tempi previsti (il 75% considerando due anni aggiuntivi a quelli di norma). Guidano l’elenco Israele (91%), Irlanda (91%) e USA (92%), ma i risultati sono riferiti agli studenti iscritti, non alla popolazione corrispondente alle singole classi di età. Valori di rilievo, comunque, sono in Estonia, (75%), Finlandia (74%), Francia (72%). In Francia peraltro l’attuale governo di Emmanuel Macron si è proposto di arrivare al 80% di studenti con il Bac a conferma che per una quota di studenti non è prevista la conclusione del percorso secondario. Nelle ultime elezioni per il Parlamento nel Regno Unito il partito conservatore ha ridotto l’obiettivo per la partecipazione all’ English Baccalaureate dal 90% al 75% da raggiungersi nel 2022. Per di più la progressiva estensione non è lineare, ma è fatta di progressi e di regressi a conferma di processi in corso e di tendenze non del tutto consolidate come documentano le esperienze dell’Estonia e della Svezia (cfr. la tabella seguente).

Fonte; OECD. Education at a glance 2017, pag.161.

Il fatto che non solo l’Italia ma anche altri paesi siano ancora alla ricerca della strada per avvicinarsi al 100% delle rispettive classi di età significa probabilmente che gli ostacoli sono dovuti non solo a disfunzionalità contingenti ma anche a difficoltà strutturali. Il completamento della scuola secondaria superiore in ogni caso è ancora un cantiere aperto.

La ‘scuola colabrodo’ è un’immagine efficace per rendere icasticamente la “fuga” dalla scuola, ma potrebbe portare a sottovalutare i nodi strutturali che tutti i sistemi incontrano. Non è solo un nostro problema. Di italiano ci sono le dimensioni del mancato completamento e la disomogeneità territoriale. Va, tuttavia, ricordato che nel nostro Paese, dal 2000 al 2016, la percentuale nella fascia d’età 23-35 di giovani senza il ciclo secondario scende dal 44% al 26% (OECD, op. cit., p.51).  

Se, quindi, come si legge nel rapporto OECD, “Increasing the number of students who complete upper secondary education is a priority for many education policy makers” (p.161), è aperto il terreno per confrontare soluzioni, per catturare ipotesi, per prendere a prestito e contestualizzare misure rivelatesi efficaci, per mettersi alla prova tenacemente, senza cedere alla facile retorica inconcludente.

b. I traguardi a portata di mano

In una fase in cui la fiducia nella scuola è un fattore incidente sul miglioramento, potrebbe essere miope non guardare con attenzione ai piccoli passi che si sono compiuti negli ultimi anni e non circoscrivere con precisione le situazioni critiche su cui focalizzare gli interventi. Considerando, ad esempio, uno degli indicatori più comuni, cioè la quota Early school leavers, alcuni territori del nostro Paese hanno valori al di sotto del 10%, come % di studenti della fascia 19-24 anni senza diplomi superiori alla terza media, altri si stanno avvicinando, altri ancora sono comunque in movimento, all’interno di uno scenario, dal 2002 al 2013 (gli anni per i quali il dossier misura la ‘fuga’ degli studenti) di miglioramento, seppur con ritmi che vorremmo più rapidi.

Sostanziali dinamiche di miglioramento si sono registrare, ad esempio per le performance in matematica nelle valutazioni effettuate del programma PISA. Senza dimenticare che le performance dei nostri studenti quindicenni rivelano una variabilità complessiva tra le scuole e all’interno delle scuole vicina ai valori medi dei paesi OECD, che l’impatto dei fattori socio-economici sui risultati scolastici è relativamente meno incidente rispetto a quanto avviene in altri paesi e che il numero degli studenti resilienti nelle aree leader del nostro paese è confrontabile con quello dei paesi a elevata performance.

 Questi elementi testimoniano la capacità presenti nelle nostre scuole e nelle nostre regioni, che attendono di essere disseminate per superare una certa impresentabilità del sistema nel suo complesso di cui la dispersione è uno dei tratti più negativi.

c. Le risorse finanziarie: alcuni caveat

Per quanto riguarda i costi il dossier di Tuttoscuola mette in evidenza la dissipazione di risorse che accompagna la dispersione scolastica. Pur lasciando agli esperti le tecnicalità della misura dei costi affrontati da un’istituzione formativa con esiti fallimentari, alcuni caveat possono essere utili per affrontare l’ipotesi di uno spreco ingente di risorse (il dossier stima in 55 miliardi il costo della dispersione scolastica).

Il moltiplicare la spesa per studente per il numero degli abbandoni è un calcolo semplice ma forse un po’ approssimativo perché non tiene conto dei margini di flessibilità del sistema per cui l’andamento dei costi non corrisponde, direttamente e automaticamente, all’andamento puntuale della popolazione studentesca e alla loro variazione nel breve periodo.

Non va dimenticato, peraltro, che nel nostro Paese l’andamento della spesa per l’istruzione secondaria superiore non ha mai raggiunto i valori medi dei paesi europei, sia come spesa pro capite sia come % del Pil, realizzandosi, purtuttavia, proprio nel periodo considerato, un’estensione significativa della popolazione delle scuole secondarie superiori. Alcuni traguardi di cui si è detto, inoltre, sono stati raggiunti proprio in un periodo di contrazione delle risorse destinate all’istruzione.

In tema di spese per l’istruzione anche il commissario Cottarelli nelle sue recenti analisi e nelle proposte da esse scaturite ha sempre escluso l’istruzione dai settori su cui intervenire per la razionalizzazione della spesa proprio per la loro rilevanza e per il fatto che drastici contrazioni già erano state portate a termine. Dati i livelli di spesa, comparativamente contenuti, non si può certo escludere che con le risorse disponibili le scuole non avrebbero potuto ottenere migliori risultati, ma questo dovrebbe essere oggetto di un’analisi approfondita e circostanziata per poter individuare gli  sprechi nella gestione finanziaria dovuti agli abbandoni.

2. Alcuni termini della dispersione scolastica

Venendo ai nodi cruciali della dispersione scolastica riterrei opportuno prendere in considerazione le strategia di scuola e approfondire i processi dispersivi interni.

a. Il sistema scolastico e formativo conosce tutti, o quasi, i propri studenti

Tutti a scuola? La domanda può apparire retorica. Si legge sull’Annuario ISTAT: “I tassi di scolarità, che esprimono la partecipazione ai corsi scolastici della popolazione giovanile nei vari ordini, si attestano su valori intorno al 100 per cento per i percorsi della scuola primaria e della scuola secondaria di primo grado. Il tasso di scolarità dei 14-18enni calcolato considerando solo gli iscritti alla scuola secondaria superiore di II grado risulta pari al 93,0 per cento. Se invece si considera la partecipazione al sistema formativo nel suo complesso, il tasso di partecipazione dei 14-18enni calcolato considerando anche gli iscritti ai percorsi triennali di Istruzione e formazione professionale (Ifp), raggiunge il 99,2 per cento” (ISTAT, Annuario statistico 2013, p. 177)

Se si esclude qualche incertezza per i contesti di migrazione la continuità e il completamento del percorso scolastico sono affidati alle strategie delle singole scuole e delle relative comunità professionali che, tuttavia, hanno bisogno di un contesto amministrativo attivo e lungimirante e di uno scenario politico di azioni coerenti. In questo contesto serve un approccio meno ideologico e più prammatico partendo anche da aspetti apparentemente secondari e, pertanto, non presi in considerazione, com’è il caso della non assiduità scolastica, effetto e causa della ‘fuga’ dall’istruzione.

Graf. n. 2 Continuità di frequenza. % di studenti senza assenze a scuola nelle due settimane prima della somministrazione del test (PISA 2012).

b. “Tutti a scuola”: oltre lo slogan

 L’obiettivo “tutti a scuola” diventato lo slogan consolidato per l’avvio dell’anno scolastico sembra appartenere al secolo scorso. Avere in classe tutti gli studenti è solo il punto di partenza, la condizione per un viaggio, malauguratamente non la garanzia del suo avverarsi. E qui si apre un terreno che è stato esplorato, ma che richiede ulteriori sviluppi in termini di decisioni e di iniziative. Ci sono, infatti, varie dimensioni della dispersione (Fig.1).

L’essere a scuola è una sorta di livello soglia che non è garanzia di miglioramento e di apprendimento come documenta la quota di studenti con livello inadeguato di competenza (vedi livelli 1 e 2 del programma PISA) o i numeri di studenti che arrivano all’esame di Stato senza le competenze attese. Completare, inoltre, il percorso scolastico con livelli soddisfacenti di performance non significa che si è pronti per le tappe professionali successive. L’intreccio di situazioni compone un paesaggio interno alla scuola che è da osservare da vicino guardando con apprezzamento il lavoro di chi insegna che, come l’artigiano, lavora per pezzi unici senza potersi permettere scarti, che siano ‘capaci e meritevoli’ o che appaiano ‘immeritevoli e incapaci’. Per alcuni adolescenti la scuola è l’unico spazio sociale di vita, dove si può anche non diventare mai studenti. Sono pochi gli studenti ‘indesiderati’ che la scuola allontana con sanzioni disciplinari o sbarramenti, ma in classe ci sono i “disaffiliati”, che non trovano motivazione, interesse o curiosità nel lavoro di scuola, passano i “drop out capaci” studenti con abilità che però preferiscono uscire dal percorso scolastico o gli “studenti stop out” che si mettono in stand. Non mancano gli studenti “in school drop out” che abbandonano la scuola senza lasciare mai i banchi di scuola perché è il loro mondo di vita, significativo di relazioni sociali. Nelle classi ci sono anche i “tuned out”, studenti e studentesse non sintonizzati sulla stessa lunghezza d’onda della scuola. C’è l’area degli eccellenti, ma anche il paesaggio dell’underachievement , e la mediocrità dalle molte facce è il terreno da dissodare per chi spende i propri giorni in classe lontano dalle parole d’ordine accattivanti e altisonanti.

3. Tempo di svoltare?

 Al capezzale della nostra scuola le voci sul ‘che fare’ contro la dispersione non mancano per cui sarebbe superfluo riprendere proposte conosciute. Dei fattori intervenienti e dei processi che determinano l’abbandono si sono soffermati non da oggi illustri studiosi compilando diagnosi a largo spettro e istituzioni autorevoli con eventi pubblici (Camera dei deputati, 2014). Due sfide, una di metodo e una di contenuto, sono aperte per chi vive di scuola in classe e per chi ha responsabilità pubbliche.

a. Concentriamoci sulle misure dimostratesi efficaci o che sono ad elevata probabilità di impatto

I repertori di misure da mettere in campo (si vedano gli interventi al convegno di Tuttoscuola) sono conosciuti e condivisi. Per sfuggire al mero attivismo come al richiamo rituale al contrasto alla dispersione aggiunto a qualsivoglia decisione politica o iniziativa ministeriale sarebbe opportuno, con un po’ di rigore, puntare su quei fattori il cui impatto è sorretto da evidenze di ricerca. E’ ormai obbligo, infatti, guardare a pratiche che si siano dimostrate efficaci e tener conto dei fattori che realmente influenzano, quali la leadership di scuola, l’azione focalizzata dei docenti (focused instruction) e la loro capacità collettiva (non solo collaborazione) o la fruizione dei servizi alla prima infanzia. Guardare alle singole scuole, ai territori o ad altri sistemi che hanno tassi elevati di completamento del percorso scolastico è un passo importante per individuare le soluzioni da mettere in campo. Così, solo per fare un esempio, i recenti interventi varati dal governo francese (paese con tassi comparativamente elevati di completamento della scuola superiore e con miglioramenti ottenuti) di dimezzamento delle classi e di assegnazione di insegnanti bravi in particolari contesti, come il rinnovamento di alcune pratiche didattiche fondamentali come l’insegnare a leggere e scrivere nei primi anni delle scuole primarie sono esempi da osservare. A fare la differenza nelle strategie di contrasto alla dispersione non sono le campagne culturali, ma l’adozione di misure efficaci e la loro compiuta implementazione.

b. Ritroviamo un nuovo equilibrio tra livelli di apprendimento e benessere degli studenti

In termini di contenuto è da cogliere l’opportunità di un allineamento con le priorità che stanno emergendo nelle azioni pubbliche in educazione. Dopo un’intensa e faticosa stagione di accertamento delle performance degli studenti l’attenzione si va spostando verso nuovi orizzonti. Il rapporto OECD-PISA sul benessere degli studenti (2017), la nuova agenda della scuola di Singapore, gli esempi dell’Australia e della provincia canadese dell’Ontario convergono nella ricerca di un migliore equilibrio tra il benessere degli studenti a scuola e i loro livelli di apprendimento. Lo student well-being si propone come paradigma di riferimento alternativo a quelli del recente passato, dall’autonomia delle scuole ai livelli di performance.

Un nuovo equilibrio tra competenze e benessere dello studente potrebbe rivelarsi un humus fertile per riscrivere le biografie di chi frequenta le scuole. Il benessere dello studente è una condizione favorevole per la riuscita scolastica. E’ molto probabile che l’allievo, sereno, consapevole, con una propria identità, si trovi in condizioni migliori per affrontare il lavoro scolastico rispetto al compagno ansioso, turbato da eventi esterni, non a proprio agio nel mondo della scuola. D’altra parte il successo scolastico è spesso un requisito per il benessere dello studente. Il fallimento a vari livelli genera demotivazione, disinteresse e sfiducia mentre al contrario il successo pur parziale consolida la percezione delle proprie capacità e rafforza la spinta al miglioramento. Il benessere dello studente e la riuscita scolastica sono due ingredienti ugualmente importanti da prendere in considerazione sempre evitando gli estremi della polarizzazione: enfasi eccessiva sui risultati di apprendimento e trasformazione della scuola, ambiente di apprendimento per eccellenza, in un club di relazioni sociali positive. Il benessere degli studenti, peraltro, ha anche un valore in sé. L’accentuazione della verifica dei livelli di apprendimento ha talvolta fatto passare in secondo piano l’esperienza personale di ciascun studente. La scuola è uno spazio di vita autentica per chi la frequenta e gli esiti in termini di competenze disciplinari non sono l’unica componente significativa.

All’origine della dispersione non è estraneo il mancato intreccio tra le istanze indicate da cui occorre ripartire, pur consapevoli che in un Paese dai giorni tristi un velo di tristezza può appannare l’esperienza di scuola. Così se i nostri livelli di life satisfaction sono inferiori ai valori medi OECD (5,9 rispetto a 6.5 su una scala da 0 a 10)[1], non possiamo stupirci se gli studenti italiani (6,89) non superano i coetanei OECD (7,31) nell’esprimere il proprio gradimento, o se solamente il 24,2% di essi raggiunge i punteggi massimi della scala (9-10) a fronte del 34,1% dell’universo OECD o se la fascia di studenti con valori bassi (0-4) è leggermente più estesa (14,7%) se messa a confronto con la media OECD (11,8%).

4. Perché sfiduciare la scuola?

La tentazione è costante e forte: lo sguardo indignato, la parola critica e il disdegno culturale premiano il parlare, o scrivere, di cose di scuola moltiplicando espressioni e metafore (‘catastrofe culturale’, ‘amputazione civile’…) in totale assenza di avvocati difensori, né d’ufficio né di parte. Purtuttavia se dal 1995 a oggi la scuola ha perso 3 milioni di studenti in fuga, quanti nuovi studenti ha accolto, di anno in anno, nell’arco di oltre due decenni? Se si sono dissipati 55 miliardi, quanto sono riuscite a fare le nostre scuole a risorse finanziarie costanti se non in contrazione, nell’arco del periodo considerato? Sono interrogativi le cui risposte dovrebbero integrare l’immagine devastante del ‘colabrodo’.

 Finché, comunque, la dispersione scolastica rimarrà una, ricorrente e rituale, mega-categoria per sfiduciare la nostra scuola e, implicitamente, di chi in essa spende le proprie risorse ed energie, il rischio è, per riprendere una dicotomia d’autore, di alimentare, e perpetuare, i policy talks lasciando sostanzialmente immutate le institutional practices. Per questo il dossier di Tuttoscuola è più utile come strumento di riferimento per esaminare realisticamente i processi e per calibrare prammaticamente le misure da mettere in campo che come documento”.

[1] Cfr. OECD, Better Life Indicators (http://www.oecdbetterlifeindex.org/it).

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