Difesa del tempo pieno, strategie per il dopo 17 gennaio

Non è stato un flop, come ha commentato a caldo l’on. Tajani di Forza Italia, ma di certo Roma ha visto manifestazioni più partecipate di quella che si è svolta sabato scorso. Eppure la preparazione dell’evento è stata accurata, il tam tam mediatico, soprattutto via Internet, intenso.
Pur essendoci stata una partecipazione significativa, non si è verificata quell’adesione di massa, in profondità e in estensione, che i più entusiasti promotori della manifestazione forse si aspettavano.

La cosa probabilmente farà riflettere i politici dell’opposizione, o almeno quella parte di essi che è sembrata più subire che condividere la manifestazione. I discorsi sulla peculiarità del “modello pedagogico” del tempo pieno tradizionale, in presenza di una garanzia delle 40 ore settimanali, e della possibilità per le scuole e i genitori di scegliere, in pratica, di confermare il modello finora praticato, hanno probabilmente attenuato l’efficacia delle parole d’ordine.
E il tentativo di spostare l’enfasi dell’iniziativa dal tempo pieno (che riguarda il 20% degli allievi della scuola primaria) alla difesa della scuola pubblica, che ne riguarda otto milioni, è giunto probabilmente in ritardo.

Che fare a questo punto? In fondo basterebbero pochi ritocchi, in parte già apportati, al testo del decreto legislativo, per risolvere la questione in termini di buon senso, puntando sull’autonomia organizzativa e didattica delle scuole. E su questo potrebbero verificarsi convergenze tra opposizione e maggioranza in sede di emanazione del parere delle Commissioni.

I comitati, però, non deflettono, e già preannunciano presidi e occupazioni. Incluso il sit-in mattutino del 20 gennaio davanti a Montecitorio.