Con-petere o competere?

Sarà che ci troviamo spiazzati dinanzi ai cambiamenti culturali che coinvolgono i comportamenti dei nostri ragazzi, ma negli ultimi tempi ci occupiamo sempre di più di comprendere dove e come andare in qualità di educatori e “mediatori” della conoscenza. Partendo anche da un articolo di Massimo Gramellini, che denuncia il problema dell’ansia degli studenti e il conseguente abbandono di alcuni ambienti scolastici, o dagli interventi della prof.ssa Daniela Lucangeli, che enfatizza spesso il tema dell’inclusione e dell’empatia per entrare nel mondo complesso dei ragazzi, oggi siamo costretti a interrogarci su quali siano le modalità relazionali e pedagogiche più corrette per una generazione che ci chiede attenzione.

Ma queste riflessioni si inquadrano in uno spazio più ampio, cioè quello che contempla anche il ruolo dei genitori nel rapporto scuola-famiglia. Un ruolo che oggi è commistionato da tanti aspetti e che si configura spesso con una delega a trasmissione alternata.

Le famiglie affidano i propri ragazzi alla scuola chiedendo standard qualitativi elevati e anteponendo contestualmente il “però” all’azione didattica: per le reali sensibilità inespresse dei ragazzi, per le insicurezze percepite o semplicemente per una forma di iper-protezionismo. Poi chiedono alla scuola un atteggiamento fermo, spesso tradito in primis da loro in nome dell’amore genitoriale, forse più per un nostalgico ricordo della propria vita tra i banchi di scuola che per il vero significato pedagogico. Allo stesso tempo sono complici dello studio pomeridiano, soprattutto per i più piccoli, che li induce ad entrare nel merito dei contenuti e delle metodologie attivate dalla scuola. Ecco la complessità odierna. L’interrogativo che dobbiamo porci è con quale modalità educativa si può governare e mediare il processo di apprendimento.

I docenti hanno la responsabilità di indicare la strada ai propri alunni, ma anche di cogliere queste diversità interpretandole nel migliore dei modi, sapendo che lavoreranno in un contesto complesso e non scontato e soprattutto non sempre di alleanza col mondo esterno.

Perché nella relazione docente-alunno ci si può trovare a gestire la competizione docente-genitore. Una competizione che fonda le proprie origini sull’innalzamento culturale generazionale, ma anche sul rapporto tra l’insicurezza delle azioni genitoriali e l’incapacità di alcuni docenti di interpretare correttamente il proprio ruolo. Allora, il termine più corretto sarebbe con-petere, ossia andare insieme.

Ed è con questa nuova consapevolezza, nonché struttura della comunità scolastica, che va incardinato un processo di rinnovamento continuo delle competenze. I dirigenti e i docenti sono chiamati a crescere sulle hard skills ma soprattutto ad indagare il tema delle soft skills, della creatività e dell’intelligenza emotiva, ossia su tutti quei temi che nei percorsi accademici sono marginalmente o per nulla trattati. Percorsi formativi individuali e/o di gruppo che possano rendere viva la propria professionalità, che non si fermino alla canonica formazione in aula ma che siano frutto di una nuova visione dei sistemi di apprendimento.    

Ed è in questo rinnovato processo e turbinio di emozioni, di relazioni personali, interpersonali e professionali che ci sono loro, attenti spettatori in cerca del proprio perché. Chi avrà la “fortuna” di incontrare docenti “pronti” e di vivere sane relazioni scuola-famiglia avrà gli strumenti per trovare le risposte nel giusto tempo, chi sarà meno fortunato cercherà a lungo.

*Managing Director Liceo Maior

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