Ciampi e Fazio: investire nella scuola

Due autorevoli voci si sono levate, nei giorni scorsi, per sostenere l’importanza strategica degli investimenti in istruzione, quella del presidente Ciampi e quella del governatore della Banca d’Italia Fazio. Quest’ultimo, in particolare, ha sottolineato che “negli Stati Uniti, la nazione industrializzata più importante, il 95% della ricchezza è costituito da quello che si chiama capitale umano“, il quale si accresce soltanto con l’istruzione, in particolare quella dei giovani.
Fazio si riferiva ai Paesi in via di sviluppo (parlava ai salesiani che vi operano), ma l’opposizione ha raccolto il suo appello per attaccare il governo. La sen. Acciarini, capogruppo Ds nella commissione Istruzione del Senato, ha invitato la maggioranza a eliminare dalla Finanziaria 2005 i tagli che colpiscono la scuola (supplenze brevi e insegnanti specialisti di inglese) e la ricerca di base, e ad aumentare la spesa per la riforma della scuola (i 110 milioni stanziati dovrebbero essere “almeno dieci volte tanto“) e per l’università.
Ma al di là delle polemiche contingenti, sarebbe bene cercare di rispondere al seguente quesito: l’Italia spende poco per l’istruzione, o spende male? Stando ai dati comparativi raccolti dall’OCSE nel rapporto “Education at a glance” del 2004, l’Italia è nella media per l’incidenza della spesa per l’istruzione sul PIL (attorno al 5%), ma spende decisamente male: ha il più alto numero di insegnanti a parità di allievi (ma li paga male e non offre loro una carriera); ha piani di studio e orari di lezione tra i più pesanti, ma gli allievi ottengono pessimi risultati in comprensione della lettura, matematica e scienze, come mostra la ricerca PISA; ha tuttora un elevato tasso di dispersione nella fascia 14-18 anni. Eppure la spesa per allievo di scuola primaria (6783 dollari USA) è molto superiore alla media OCSE (4850), e analoga situazione si riscontra a livello di scuola secondaria (8258 dollari con una media OCSE di 6510).
Ci sono quesiti che meriterebbero una seria attenzione bipartisan: servono davvero 30, 33, 36 ore settimanali per gli allievi? Servono davvero tutte le materie (con orari settimanalizzati) che affollano i piani di studio delle nostre scuole? Non sarebbe meglio cercare di fare meno cose, in meno tempo, con un numero semmai minore di insegnanti ma pagati e preparati meglio? A noi sembra che queste domande non siano né di destra né di sinistra, ma che (purtroppo) né la destra né la sinistra siano in grado di dare risposte convincenti.