Carriera docenti/4. Quel passaggio che manca per realizzare la vera autonomia scolastica

In molti si chiedono come abbia avuto origine il contenuto del DL 36 su formazione e (mancata) carriera, che è riuscito a scontentare praticamente tutti, disattendendo l’impegno preso con l’Europa di introdurre un vero sviluppo professionale per gli insegnanti in grado di attrarre i giovani più talentuosi verso questa professione e di motivare quelli in servizio premiando in maniera strutturale chi si impegna di più e raggiunge livelli di professionalità più elevati. Il premio una tantum di carattere accessorio previsto dal DL (riservato peraltro al 40 per cento di chi seguirà percorsi formativi di fatto opzionali) è chiaramente inadeguato a entrambi gli scopi.

Non solo: come Tuttoscuola ha subito rilevato, introducendo la “formazione incentivata” – ossimoro della formazione “obbligatoria, permanente e strutturale” prevista da una norma vigente (la n. 107/2015) e mai finora realmente applicata – il testo presentato dal Governo Draghi (ma il Premier ne sarà consapevole?) riduce quella che è una componente nobile e fondamentale della professione a una “utilità”, snaturandola.

E’ il concetto stesso di “formazione incentivata” che non convince in re ipsa: ti incentivo a formarti prospettandoti un premio economico (una tantum), smentendo quindi il principio di obbligatorietà dell’aggiornamento “life long”.

Viceversa appare molto più logico e coerente ribaltare il nesso causa-effetto: se ti formi, se maturi esperienze significative, se svolgi stabilmente particolari incarichi, ti riconosco un profilo professionale che comporta anche un incremento retributivo permanente, una diversa seniority e diverse responsabilità. Tale sviluppo può essere attestato attraverso un sistema di crediti formativi e professionali e in determinati passaggi chiave attraverso una verifica di tale professionalità rafforzata.

E’ il modello verso il quale si sta indirizzando la Provincia di Trento, che – se non cambiano le cose in Parlamento – sarà l’unico pezzo di Paese a implementare quello che è un preciso impegno preso a fronte dei fondi che l’Europa dovrebbe rilasciare per il Next Generation UE, e che in buona parte – ricordiamolo, e ammesso che siano a questo punto concessi – dovranno essere rimborsati dalle future generazioni.

Che il testo del DL 36 non sia stato un “parto” indolore lo si deduce da vari indizi, tra i quali le recenti, sofferte dimissioni di Mario Ricciardi, già presidente dell’ARAN e consulente (a titolo gratuito) del ministro Bianchi per i rapporti con i sindacati e per la gestione del contratto. Dimissioni presentate il giorno dopo che il Consiglio dei ministri aveva licenziato la bozza di riforma del DL 36, in quanto non corrispondeva all’atto di indirizzo che aveva presentato lui stesso all’inizio dell’anno ai sindacati.

In effetti, come avevamo notato (Carriera dei docenti/3: sorpresa, nell’atto di indirizzo c’è un piccolo appiglio), nell’atto di indirizzo redatto da Ricciardi in qualità di consulente del ministro si faceva riferimento alla possibilità di attingere al lavoro di quella commissione mista Miur-Aran-sindacati che nel lontano 2004 aveva elaborato soluzioni possibili di meccanismi di carriera professionale per i docenti.

Su questo piano si poteva trovare la strada per far fare al sistema un salto avanti in maniera condivisa.

Si dirà che non è affatto detto che il sindacato, e in generale la categoria, siano disposti a seguire questa strada. Ma intanto va rilevato che il sindacato più rappresentativo, la Cisl Scuola, ha dimostrato attenzione e sensibilità sul tema, rilanciando qualche settimana fa (come ricordato nella precedente notizia) il documento dell’ex Capo Dipartimento del Miur Giuseppe Cosentino.

E poi: ma se non è il Governo a prendere con forza la strada di un vero sviluppo professionale, perché dovrebbe essere il sindacato a imbarcarsi su un torrente pieno di insidie, di rapide e di cascate, con una “base” della categoria che ha sempre dimostrato ostracismo a qualsiasi forma di differenziazione?

Qual è l’impegno politico, culturale e organizzativo che sta mettendo in particolare il Ministero dell’istruzione per andare in questa direzione? E quale quello – politico e anche economico – del Governo, con tutto il peso di un Esecutivo autorevole, riconosciuto anche internazionalmente e sostenuto da quasi tutte le forze politiche? Sono questi pilastri che ci sembra stiano mancando in questo momento che segna un passaggio fondamentale per dare un nuovo volto al sistema di istruzione italiano (quel sistema – ricordiamolo -che perde per strada un gran numero di studenti e che porta metà degli alunni dell’ultimo anno delle superiori a non raggiungere un livello accettabile di apprendimenti in matematica e quasi la metà in italiano), a sua volta fondamentale per assicurare un futuro nella società della conoscenza. Quali sono gli stimoli, gli spunti motivazionali che si stanno prospettando ai docenti per modificare un impianto egualitaristico consolidato?

Ma il discorso se vogliamo è ancora più ampio. Ciò che si sta definitivamente perdendo – se non si decide di cambiare strada, e c’è ancora la chance di farlo – è la possibilità di innovare la governance delle scuole e di attuare concretamente quell’autonomia scolastica rimasta incompiuta, che avrebbe dovuto essere lo strumento per consentire a ciascuna scuola di esprimere una propria progettualità e una specifica offerta formativa avvalendosi delle professionalità lì operanti, riconosciute stabilmente attraverso meccanismi di sviluppo professionale.

Lo spiega bene in un intervento scritto per Tuttoscuola lo stesso Giuseppe Cosentino, intitolato “Autonomia scolastica e carriera degli insegnanti”, che consigliamo di leggere integralmente. “Una governance capace di gestire l’autonomia delle scuole, della quale è presupposto un personale docente che sviluppi nel tempo un profilo professionale stabilmente riconosciuto, con specifiche competenze, pur nell’unitarietà della funzione, costituisce la condizione difficilmente eludibile del pieno sviluppo dell’identità delle scuole, senza la quale ovvia conseguenza è il riprodursi di fenomeni di centralismo burocratico, nazionali o regionali che siano!

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