Calo nascite, Novara: ‘Colpa della difficoltà di educare. Abbiamo fatto uscire i bambini dal nostro immaginario’

I bambini non nascono più, le scuole iniziano a chiudere. Nel corso degli anni Tuttoscuola ha più volte rilanciato l’allarme mostrando numeri impressionanti. Un fenomeno questo che inizia dalle scuole dell’infanzia, e che inevitabilmente si estenderà alle scuole primarie e secondarie. Tra soli 10 anni potremmo avere quasi un milione e mezzo di alunni in meno sui nostri banchi. Ma perché in Italia si fanno sempre meno figli e quale potrebbe essere una strada da perseguire per invertire il trend negativo? Tuttoscuola ne parla con Daniele Novara, pedagogista, autore e direttore di CPP, Centro Psicopedagogico per l’educaizone e la gestione dei conflitti.

Daniele, nel 2022 l’Italia ha raggiunto il minimo storico di nascite, solo 393.000, mentre negli ultimi 10 anni le scuole dell’infanzia hanno perso 456.408 iscrizioni, pari a quasi il 30% degli alunni. Se il trend prosegue allo stesso ritmo entro il 2034 ci saranno 1,4 milioni di studenti in meno dai tre ai 18 anni, e molte scuole dovranno chiudere. Come commenta questi dati?

“Un trend che procede nell’indifferenza dell’opinione pubblica, basti pensare che durante il lockdown era possibile uscire con il cane, ma non con il bambino. Negli anni abbiamo spostato l’accudimento dai bambini agli animali domestici. I bambini sono usciti dal nostro immaginario, sono diventati un territorio di disagio, di disturbo. Basti guardare cosa accade quando un bambino o addirittura un gruppo di bambini si mette giocare nel cortile di un condominio: succede il finimondo, il giorno dopo l’amministratore riempie di lamentazioni anche se una parte del cortile dovrebbe essere riservata al gioco dei bambini”.

Perché secondo lei in Italia si fanno sempre meno figli?

“Fare i genitori oggi come oggi è come scalare una montagna più alta dell’Everest e tanti gettano la spugna. Basti pensare che una mamma su 4 in Italia non fa figli. Sono dell’idea che l’educazione dei figli debba essere messa al primo posto per migliorare il trend demografico. Pensiamo  a quanto è assurdo che le mamme debbano rientrare al lavoro al terzo mese di vita del bambino altrimenti rischiano di perderlo quel lavoro. Lo ripeto: i bambini sono visti come un disturbo, i ragazzi sono un disturbo: è chiaro che stiamo creando un immaginario negativo di bambini e ragazzi. Ci siamo disallineati rispetto al resto dell’Europa perché abbiamo rinunciato a sostenere un profilo educativo nella crescita. Questo è un problema molto serio: i bambini non interessano, non fanno notizia. Si apre un nuovo parco giochi in una città? Non è una notizia, eppure aprire un parco giochi è meraviglioso. E’ una situazione molto, molto seria, danneggia il nostro futuro”.

Lei ha più volte affermato che il calo demografico dipende anche dalla difficoltà di educare. Può spiegarci meglio questa affermazione?

“Le spiego: oggi un genitore se vuole sapere se il figlio sta bene, se ha bisogno di un consiglio educativo, non si rivolge al medico o all’insegnante, ma al blogger e all’influencer. E quello è un mondo spietato perché dominato dalle pubblicità dove nessuno dirà mai che i tablet a tre anni fanno male, che i ciucci al neonato fanno male, che il bambino deve dormire adeguatamente. E’ un ambiente che non ha interesse a passare informazioni corrette perché dominato da interessi commerciali.
Prendiamo poi gli insegnanti: senza un aggiornamento professionale di tipo pedagogico restano attaccati alla lezione frontale, quella che hanno subito quando erano alunni, e quindi molti vano avanti per inerzia. Ancora nel 2023 pensiamo che per insegnare serva esclusivamente conoscere la propria materia, anche se nessuno impara la Fisica dal premio Nobel, perché è troppo incapace di organizzare un apprendimento per uno studente di sedici anni. L’insegnante è importante che abbia metodo. Ora ci sarà un’altra ondata di assunzioni che non terrà conto del calo demografico. In queste assunzioni l’elemento pedagogico e didattico metodologico sarà considerato? Stando ai concorsi e alla loro struttura la risposta sembrerebbe ‘no’.
In più oggi la professione dell’insegnante è lasciata quasi esclusivamente alle donne: è un equivoco terribile questo. Alla scuola manca il metodo, esattamente quello che proponeva Maria Montessori. La scuola è diventa spesso un dispensatore di diplomi o, peggio, di voti. Ci sono insegnanti che non avendo metodo si arroccano dietro l’utilizzo dei voti…”.

Ecco, parliamo di questo: voto sì, voto no, lei dove si posiziona?

“L’abolizione del voto è il minimo sindacale, cristallizza il giudizio sull’alunno. Toglierlo alle elementari è stata una buona cosa. Bisogna passare a una valutazione evolutiva che valuta i progressi, vedere il punto di partenza dell’alunno e valutare il suo progresso, non i sui errori. Dobbiamo passare dalla vecchia valutazione mortificante a una valutazione che accentua la valorizzazione degli alunni attraverso la valorizzazione dei suoi progressi. Fuori i voti dalla scuola dunque, dentro un modo nuovo di valutare”.

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