Buona Scuola/2. Autonomia delle scuole: un mezzo, non un fine

L’autonomia è un mezzo, non un fine: funziona se le finalità sono chiare e ben definite, e se l’autonomia delle scuole è strumentale al loro perseguimento. La Buona Scuola per la verità le finalità le enuncia fin dal primo comma, ma poi sembra quasi che lasci alle scuole di decidere se e quali realizzare. Permane un’ambiguità, che si trascina da quando si parla in Italia di autonomia delle scuole.

Quando fu varata, nel febbraio 1990, la Conferenza nazionale sull’autonomia delle scuole (Ministro della PI Sergio Mattarella, sottosegretario delegato Beniamino Brocca, presidente dell’omonima Commissione per la riforma dell’istruzione secondaria), uno degli argomenti più dibattuti – ma forse non sufficientemente messo a fuoco, malgrado gli sforzi dell’allora capo di gabinetto Alessandro Pajno – fu proprio quello del rapporto tra un sistema di scuole dotate di un’effettiva autonomia organizzativa e didattica e un Ministero post-burocratico, capace di definire le strategie di sistema (obiettivi di apprendimento, valutazione dei risultati) dismettendo le tradizionali funzioni di controllo burocratico e procedurale.

Purtroppo, per una serie di motivi legati alla turbinosa vicenda politica dei primi anni novanta, e anche per la robusta resistenza conservatrice opposta dall’apparato ministeriale, tale progetto di riconversione del rapporto centro-periferia (poi ripreso dal governo Ciampi ma accantonato dal successivo primo governo Berlusconi) non è mai andato in porto.

Alla fine degli anni novanta, nel quadro del decentramento amministrativo promosso dalla legge Bassanini (n. 29/1997), poi sfociato nella riforma della Costituzione del 2001, un tormentato ma tangibile – almeno sulla carta – passo avanti verso l’autonomia fu dovuto ad una spinta sociale. L’operazione politica non trovò però né comprensione né entusiasmo nei vertici delle istituzioni scolastiche e soprattutto tra i docenti. Incontrò freddezza nel corpo dell’amministrazione, costruito dentro una cultura educativa statalista. Il Ministero non riconvertì affatto il suo ruolo. Nell’esperienza concreta al riconoscimento alle scuole di un maggiore spazio di autonomia didattica, organizzativa, amministrativa, di ricerca e sviluppo non ha fatto seguito un modo nuovo di “amministrare” il sistema di istruzione, più partecipato e sussidiario, in grado di promuovere lo sviluppo e di trasformare i rapporti tra scuola e istituzioni territoriali. E’ mancata una nuova funzione di governo strategico del sistema che doveva costituire il necessario pendant e contrappeso alla maggiore autonomia delle scuole.