Bufera al Ministero dell’istruzione: la nota Bruschi diventa un caso politico

“Mio marito è commerciante all’ingrosso di bevande, io educatrice di nido, pertanto chiediamo che nostra figlia segua in presenza le lezioni”. “Lavoro in un’azienda che raccoglie rifiuti e mio marito è proprietario di un bar, nostro figlio ha diritto a venire a scuola?”. “Lavoriamo nel commercio, io impiegata commessa e mio marito magazziniere presso un’azienda sanitaria: è possibile far partecipare nostro figlio alla didattica in presenza?”. “Lavoro in un’azienda che raccoglie i rifiuti e mio marito è proprietario di bar: rientriamo nella normativa?”. Anche chi lavora come commessa in un supermercato se lo è chiesto e ha rivolto la domanda alla scuola del figlio.

Da venerdì 5 marzo le scuole italiane sono subissate da richieste di questo tipo, mentre tantissimi genitori dei 5,7 milioni di alunni per i quali è stata prevista la didattica a distanza (secondo i calcoli di Tuttoscuola ripresi da tutti i media nazionali e internazionali) si chiedono se possono mandare i figli a scuola o se da lunedì devono organizzare soluzioni alternative.

Tutto nasce dalla nota del capo dipartimento uscente Max Bruschi di giovedì 4 marzo, che ha acceso un week end di fuoco a tutti i livelli nel mondo dell’istruzione.

Tuttoscuola è in grado di svelare il retroscena della bufera che è giunta ai più alti livelli istituzionali.

Per comprenderlo, va fatto un passo indietro. Poche ore prima dell’emanazione della nota di Bruschi, l’ex ministra Lucia Azzolina ha trasmesso una lunga diretta Facebook (di cui parliamo in altra notizia), durante la quale ha sottolineato che il nuovo Dpcm non ha previsto la possibilità – a differenza di quanto previsto dalle disposizioni del Piano Scuola 2020-2021 del giugno 2020 – che “le scuole restassero aperte per accogliere i figli dei lavoratori operanti nei servizi pubblici essenziali”. “Sono invasa di lettere – ha aggiunto la Azzolina – da parte di medici e operatori sanitari con figli a scuola che chiedono dove lasciare i figli la mattina”.

Ci ha pensato poche ore dopo il suo più stretto collaboratore a viale Trastevere a inserire la possibilità nella nota ministeriale, approfittando dei tempi del passaggio di consegne con il suo successore e scatenando un putiferio.

L’ex capo dipartimento Max Bruschi ha infatti voluto lasciare un’ultima impronta personale negli atti amministrativi.

Nella nota da lui trasmessa – in vece del nuovo capo dipartimento Stefano Versari, che in attesa della registrazione da parte della Corte dei Conti della sua nomina non sta firmando atti ufficiali – alle istituzioni scolastiche per l’applicazione dell’ultimo DPCM sulle “Misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19”, ha inserito una sua personale interpretazione estensiva al dispositivo che all’art. 21 del Dpcm prevede la “possibilità di svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o per mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali”.

Oltre agli alunni con disabilità e con BES di cui parla il DPCM, Bruschi ha previsto la possibilità di consentire l’accesso a scuola in presenza anche per i “figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”.

Si tratta dei cosiddetti key workers che possono essere individuati, consultando la lista dei Codici Ateco, allegata al DPCM del 22 marzo dell’anno scorso, lista di cui manca tuttora l’atto dispositivo.

Per questa interpretazione Bruschi ha fatto riferimento al Piano Scuola 2020-21.

Questi i fatti, a cui hanno fatto seguito le richieste di molte famiglie, il disorientamento di tanti dirigenti scolastici e l’imbarazzo degli Uffici regionali per l’evidente contrasto tra il DPCM e la nota. 

 

C’è da pensare che Bruschi non abbia concordato con il ministro e neanche con il Gabinetto la sua interpretazione, mandando su tutte le furie il ministro Bianchi e infuocando il fine settimana della scuola.

Mentre venerdì 5 marzo la Regione Lombardia, con una lettera a firma del presidente Fontana e della vice presidente e Assessore al Welfare Letizia Moratti, si rivolgeva addirittura al ministro della Salute Speranza, chiedendo di “conoscere formalmente quali siano i servizi pubblici essenziali richiamati nella nota del Ministero dell’Istruzione n. 1990 del 05 novembre scorso indirizzata ai Dirigenti scolastici”, la Regione Emilia-Romagna – dove hanno operato per anni il ministro Bianchi come assessore e il capo dipartimento Versari come direttore dell’Usr – prendeva duramente posizione: “In Emilia-Romagna, nei comuni in zona arancione scuro e in quelli in zona rossa, gli istituti scolastici sono già attivi per garantire attività e lezioni in presenza ad alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali e quando sia necessario l’uso di laboratori. Si tratta delle sole deroghe alla sospensione delle attività in presenza”.

La circolare (del MI, ndr) – fa sapere la Regione – non ha un fondamento giuridico chiaro, dato che il Dpcm parla solo di alunni disabili e con bisogni educativi speciali, né sarebbe attuabile in assenza di alcuna indicazione operativa, che definisca precisamente innanzitutto di quali categorie si parli”.

Anche il direttore dell’USR Lombardia (dove potrebbe andare a lavorare Bruschi secondo alcuni rumors) Augusta Celada è dovuta intervenire con una nota urgente, precisando che “le istituzioni scolastiche organizzeranno il servizio tenendo conto del necessario e primario obbligo di rispetto delle misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza”.

L’Anp, l’Associazione Nazionale Presidi, nel frattempo comunicava di avere chiesto al Ministero una risposta urgente e univoca per non lasciare tutta la responsabilità sulle spalle dei dirigenti scolastici.

Ma nonostante le prese di posizione la valanga provocata dalla nota di Bruschi non si fermava, provocando crescente pressione e nervosismo sia nelle scuole – e in particolare sui presidi, chiamati come altre volte a dover prendere decisioni senza una chiarezza normativa – sia tra le famiglie.

Spettava al ministero dell’istruzione risolvere la questione, lì dove si era generata.

Con una nota di chiarimenti, emanata inusualmente di domenica e inviata con urgenza a tutte le scuole, il capo di Gabinetto (cioè dell’ufficio di più stretta collaborazione del ministro Bianchi) Luigi Fiorentino è intervenuto annullando sostanzialmente le “prime indicazioni” della nota del capo dipartimento uscente, a chiarimento della quale ha riportato le deroghe alle zone rosse e gialle previste dal Dpcm, mentre non ha menzionato minimamente la possibilità di consentire l’accesso a scuola in presenza anche per i “figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”, come riportato nella nota di Bruschi, che quindi è da ritenersi superata.

Ma i segni di questa ferita politica comunque restano.

 

Lunedì pomeriggio è arrivata in redazione una nota di chiarimento da parte del Ministero dell’Istruzione:

Con riferimento alle notizie apparse sulla vostra testata, si comunica che la nota a firma del Capo Dipartimento Bruschi è stata condivisa, ma si sono poi resi necessari ulteriori approfondimenti in merito alla questione dei lavoratori dei servizi essenziali. Il dott. Bruschi sta garantendo il passaggio di consegne con il nuovo Capo Dipartimento Stefano Versari con professionalità”.