Autonomia differenziata/1. Sisifo ci prova ancora

Il disegno di legge governativo per l’autonomia differenziata, predisposto dal ministro Calderoli, è stato approvato dal Senato nella seduta dal 23 gennaio 2024 con 110 voti favorevoli, 64 contrari e 3 astenuti. Favorevoli le forze di maggioranza e il gruppo per le autonomie, contrari Pd, M5S, Alleanza verdi-sinistra e Italia Viva, astenuta Azione. Il ddl voluto dalla Lega passa ora alla Camera per la seconda lettura, e se non subirà modifiche diventerà legge senza ulteriori passaggi, a differenza della ipotizzata elezione diretta del Presidente del Consiglio, sostenuta da Fratelli d’Italia, che comportando modifiche costituzionali richiederà quattro letture. L’accordo politico tra Lega e FdI prevede che i due provvedimenti procedano affiancati e siano entrambi approvati. Altrimenti, ancora una volta, l’autonomia differenziata resterà ferma al palo, e Sisifo dovrà ricominciare. Forse…

Comunque passiamo brevemente in rassegna i principali punti del testo approvato dal Senato e le implicazioni per l’istruzione.

Il ddl Calderoli dà attuazione al terzo comma dell’art. 116 della Costituzione, così come riformata nel 2001 ad iniziativa del governo di centro-sinistra allora in carica, che prevede la possibilità di attribuire “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario che ne facciano richiesta.

Le materie attribuibili sono quelle per cui è prevista la legislazione “concorrente” tra Stato e Regioni di cui all’art.117 della Carta, tra le quali compare anche “l’istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale”;

All’attribuzione si provvede con una legge dello Stato “sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”. Finora sono tre le Regioni con cui lo Stato ha sottoscritto un accordo preliminare: il Veneto, che ha chiesto l’autonomia rafforzata in tutte le 23 materie potenzialmente interessate, la Lombardia (20 materie), e l’Emilia-Romagna (16).

La procedura, apparentemente semplice, è in realtà complicata e piena di insidie anche politiche nei diversi passaggi: sull’intesa preliminare approvata dal Consiglio dei ministri devono esprimere un parere la Conferenza unificata e le varie commissioni parlamentari competenti, che possono anche proporre “atti d’indirizzo”. Il presidente del Consiglio, però, potrebbe non tenerne conto, presentando alle Camere le motivazioni di tale scelta. Toccherà poi ancora al Consiglio dei ministri deliberare sullo schema definitivo dell’intesa, che sarà inserito in un apposito disegno di legge da sottoporre alle Camere per l’approvazione a maggioranza assoluta senza modifiche: prendere o lasciare.

Le opposizioni (tranne Azione) e i sindacati contestano il ddl anche perché, vista l’invarianza della spesa (art. 9 c. 1: “Dall’applicazione della presente legge e di ciascuna intesa non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”), l’autonomia differenziata favorirebbe il Nord danneggiando il Sud (parlano di “secessione dei ricchi”). La maggioranza risponde che questo sarebbe impedito dalla applicazione preventiva dei LEP (Livelli essenziali di prestazione) nei diversi settori, dalla sanità all’istruzione. Ma i LEP continuano ad essere oggetti misteriosi. Ne parliamo nella notizia successiva.

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