
Se insegna solo le competenze, la scuola muore?

Dal 29 maggio e il 1° giugno 2024 l’Università di Bergamo ha ospitato una importante conferenza internazionale (“Atee Spring Conference 2024”), sul tema La ricerca sulla formazione degli insegnanti in Europa: tendenze, sfide, pratiche e prospettive.
In tale occasione molto interesse ha suscitato l’intervento di apertura, affidato a David Steiner, direttore del “Johns Hopkins Institute for Education Policy” e professore di “Education” (che nei Paesi anglosassoni ha un’accezione più ampia della nostra Pedagogia) alla Johns Hopkins University.
Steiner, chiamato a offrire il suo contributo al dibattito sulla formazione dei docenti in Europa, ha messo in guardia gli europei dal cadere nell’errore che a suo giudizio sta portando la scuola americana verso il fallimento (“failure”, come si legge in un suo libro del 2023).
L’errore, denunciato con forza anche nell’intervista pubblicata da ilsussidiario.net (29 maggio), è stato quello di aver consentito lo spostamento dell’attenzione e dell’impegno degli insegnanti dai contenuti culturali di base, quelli elaborati nel tempo dalla cultura classica, compresi l’etica e l’estetica, alle competenze (“skills”): a un “saper fare” tutto senza sapere perché, senza capire se quel “fare” merita di essere fatto, e senza saperne valutare le conseguenze.
Questa assenza di riferimenti, complicata negli Stati Uniti dalla storica assenza di programmi nazionali (nel senso di federali), malgrado i vani tentativi di costruire un core curriculum disciplinare condiviso, insieme all’irruzione incontrollata delle tecnologie digitali, e allo spostamento dell’attenzione pubblica dalla figura di chi insegna a quella del soggetto che apprende, avrebbero reso inconsistente l’oggetto dell’educazione. “Sostanzialmente oggi noi non educhiamo più le nuove generazioni, ci preoccupiamo soltanto di assicurarci che sappiano usare gli strumenti multimediali”, polemizza Steiner. Che invita perciò gli insegnanti europei (anche se non lo dice esplicitamente) a non fare lo stesso errore.
Le considerazioni e l’ammonimento di Steiner meritano attenzione, anche se nei sistemi scolastici europei c’è mediamente un maggior rispetto per il patrimonio culturale e il canone pedagogico “occidentale” (messo radicalmente in discussione dal “wokismo” e della Cancel Culture negli USA). Segnali di sbandamento e di perdita di riferimenti culturali solidi si notano peraltro anche in Italia, come mostra bene il successo che riscuotono tra i giovani cantanti come Ultimo (28 anni) – interprete di quella che lo psicologo americano Haidt chiama la “generazione ansiosa” (ne abbiamo parlato su Tuttoscuola qui) – che nell’intervista rilasciata a Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera (19 maggio 2024) ha detto che “essere giovani oggi è tremendo, perché sei senza punti di riferimento”.
Bisogna vedere se e quanto la scuola sia responsabile di questo fenomeno, e quanto lo sia l’inadeguata formazione dei docenti. Chissà se di questo si sta occupando la SAFI (Scuola di Alta Formazione Insegnanti), della cui attività finora si sa poco, presieduta dal pedagogista Giuseppe Bertagna, punto di riferimento accademico del prof. Francesco Magni (che fa parte dal marzo scorso anche della segreteria tecnica del ministro Valditara), che è tra i promotori della Conferenza di Bergamo.
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