Riforma: quale modello per la formazione?

E’ vero che il ministro Moratti ha insistito sul carattere provvisorio, e in qualche misura sperimentale, dei testi allegati al decreto, destinati ad essere sostituiti da quelli che saranno inseriti nel o nei Regolamenti. Ed è di questi giorni la richiesta del ministro Buttiglione di apportare ulteriori “miglioramenti” ai provvedimenti finora adottati. E’ probabile, insomma, che l’attuale versione delle “Indicazioni nazionali”, che peraltro ha già subito numerosi rimaneggiamenti, non sarà l’ultima. Ma intanto, da qui a settembre, i docenti e i dirigenti dovrebbero essere messi in condizione di conoscere e gestire sul piano professionale le nuove disposizioni.
In che modo? Servirebbe un piano di formazione capace di investire efficacemente e contemporaneamente, nel poco tempo a disposizione, un numero di destinatari senza precedenti non solo nella storia della scuola italiana ma, crediamo, in quella di qualunque altro Paese.
Un’impresa ciclopica, che – ammesso che ci siano i rilevanti fondi necessari per muovere una macchina di questo genere – comporterà di necessità un massiccio ricorso all’autoformazione e alla formazione a distanza, e l’impegno dei dirigenti scolastici come promotori della formazione in presenza: come già accadde qualche anno fa con l’introduzione del nuovo esame di Stato. Operazione che ebbe successo, ma si sviluppò su scala più ridotta, con tempi meno assillanti, e con un grado di consenso sociale, e di disponibilità da parte del personale dirigente e docente, assai maggiore di quello che oggi si riscontra nelle scuole.