24 ore: ma non è una questione di quantità

Le polemiche provocate dalla proposta di incrementare l’orario settimanale di insegnamento di sei ore sono destinate a durare ben oltre l’auspicato (non ancora certo) accantonamento del comma 42 in sede di approvazione parlamentare del ddl di stabilità.

Il dibattito che si è aperto con la proposta non riguarda, infatti, soltanto il problema del potere di contrattazione dei sindacati sostanzialmente violato dall’esecutivo con l’atto unilaterale della modifica dell’orario.

Non riguarda soltanto la strada indiretta escogitata dal ministro di ricorrere ai tagli della spesa facendo lavorare di più i docenti titolari per ridurre il costo dei supplenti.

C’è una questione in più che riguarda il rapporto quantità/qualità.

Più ore di insegnamento vogliono dire anche un automatico aumento della qualità del sistema?

A guardare i dati riportati dall’Ocse c’è da dubitarne.

Se gli Stati Uniti hanno mediamente 300-400 ore annuali di insegnamento in più dell’Italia in tutti i settori dalla primaria alle superiori, in Giappone, al contrario, gli orari sono tutti inferiori a quelli di casa nostra (50 ore in meno all’anno nella primaria, 17 in meno nella secondaria di I grado e 119 ore in meno nelle superiori).

Da leggere bene il dato sulla Finlandia, il Paese che tutte le rilevazioni internazionali collocano da anni ai primi posti. Nella scuola primaria le ore annuali di insegnamento (non quindi quelle totali di servizio) sono 677 (in Italia 757), nella I grado 592 (da noi 619) e nella II grado 550 (in Italia 619 ore). Evidentemente non bastano più ore di insegnamento per fare più qualità, ci vogliono molti altri fattori, che vanno combinati nel mix giusto.