Una sfida per il governo del cambiamento

Dispersione/2

Il “cambiamento”, per la scuola italiana, non può consistere in una magari cospicua, ma non strategica serie di interventi sulla normativa vigente, e in particolare sulla ‘Buona Scuola’, dai ritocchi all’alternanza scuola-lavoro e alla maturità alla stabilizzazione degli insegnanti, dalla velocizzazione delle operazioni di edilizia scolastica (peraltro di competenza degli enti locali) al reclutamento di nuovi docenti: tutti temi importanti ma nel complesso di manutenzione ordinaria, non tali da giustificare i toni palingenetici con i quali gli attuali governanti stanno accompagnando altri provvedimenti, dal ‘reddito di cittadinanza’ alle misure in materia di immigrazione e sicurezza. Qui di ‘cambiamento’, almeno annunciato, si può parlare. Non per la politica scolastica.

Eppure un’opportunità per effettuare un cambiamento di respiro strategico, in forte discontinuità con il passato, ci sarebbe anche nell’ambito della politica scolastica: tale sarebbe un piano di radicale contrasto della dispersione, con l’abbattimento dei tassi di drop-out e di abbandono che continuano a caratterizzare la scuola e l’università italiana.

Per quanto riguarda la scuola la base normativa sulla quale poggiare un piano di questa portata ci sarebbe, ed è costituita dal comma 1 della legge 107/2015 che così definisce le finalità della riforma: “affermare il ruolo centrale della scuola nella società della conoscenza e innalzare i livelli di istruzione e le competenze delle studentesse e degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento, contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica, in coerenza con il profilo educativo, culturale e professionale dei diversi gradi di istruzione, realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva, garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini”.

A rendere operativa questa azione di ri-finalizzazione dei processi formativi sono chiamate le singole scuole nell’esercizio della loro autonomia, ma il Miur le dovrebbe sostenere invitandole a combattere nella prassi didattica le diseguaglianze socio-culturali e territoriali, l’abbandono e la dispersione scolastica ‘nel rispetto dei tempi e degli stili di apprendimento dei singoli studenti’, come la stessa legge recita nel citato comma 1. Cioè con una forte personalizzazione dei percorsi formativi e il contenimento delle bocciature, limitate principalmente ai casi di disimpegno e di indisciplina.

L’adozione di una strategia di questo genere da parte dell’attuale governo giallo-verde, magari sulla base di una risoluzione parlamentare, rafforzata da un intervento di formazione per gli insegnanti con monitoraggio delle ricadute nella prassi didattica, potrebbe incontrare il consenso dei partiti attualmente all’opposizione, e soprattutto del PD, che nella scorsa legislatura ha fortemente voluto quella legge.

L’incontro del 2 marzo, promosso da Tuttoscuola proprio sul tema della dispersione, con la partecipazione di esponenti politici della maggioranza e dell’opposizione, offre una prima, tempestiva occasione per verificare se una prospettiva di questo genere può trovare spazio nell’attuale pur complesso contesto politico. Nel qual caso potremmo davvero parlare di ‘cambiamento’.