Docenti meridionali, una caratteristica strutturale del sistema

Tra gli squilibri strutturali che condizionano il nostro sistema d’istruzione, non ci sono soltanto il tasso di precarietà del personale e quello della sua anzianità, entrambi arrivati a record negativi tra i Paesi dell’Unione europea. C’è anche lo squilibrio nord-sud del personale scolastico.

Sempre più si accentua il divario tra numero di docenti residenti nelle regioni del Mezzogiorno, rispetto a quelle del Nord, dove la professione di insegnante, al contrario di quello che avviene al Sud, sembra eserciti meno attrattiva occupazionale, in ragione anche della maggiore e diversificata offerta di sbocchi lavorativi.

Si tratta di uno squilibrio noto da tempo, complesso e di non facile soluzione, senza che tuttavia siano stati avviate serie ricerche per darvi soluzione. E non è certo una soluzione proporre, come richiede qualche sindacato, un aumento tout court di posti senza intervenire in modifiche sugli altri indicatori interni ed esterni del sistema. 

L’aspetto critico di questo squilibrio non riguarda ovviamente il livello di qualità professionale dei docenti, bensì il gap tra la sede di servizio e quella di residenza dei familiari che dà luogo ogni anno ad un intenso movimento dal nord al sud, con effetti di destabilizzazione del sistema e di compromissione della continuità didattica. Al nord i posti restano senza titolari, mentre quelli del sud vengono occupati stabilmente.

E di quanto avvenuto negli anni è prova eloquente il quadro d’insieme dei posti ordinari e straordinari messi attualmente a concorso.

Per la scuola dell’infanzia i posti a concorso nella scuola dell’infanzia al nord sono il 66% mentre nelle regioni del Mezzogiorno (sud e isole) non raggiungono il 4%. Nelle scuole primarie quasi il 70% dei posti è a concorso al nord, mentre nel Mezzogiorno sono poco meno del 13%.

Infine nei concorsi ordinari e straordinari della scuola secondaria il Nord ha il 57% dei posti vacanti e il Mezzogiorno il 24%. Ma l’esodo continua…