Didacta 2018, intervista a Gert Biesta: ‘Gli studenti hanno bisogno di qualcuno che li prenda sul serio’

di Carla Sacchi

La seconda edizione dell’appuntamento fieristico più importante dell’universo scuola è partita ieri, 18 ottobre, presso La Fortezza da Basso a Firenze. Ormai siamo nel vivo dell’evento. INDIRE, in qualità di soggetto responsabile della programmazione scientifica di Fiera Didacta Italia, ha organizzato un incontro sul tema dell’innovazione, tenutosi presso il Teatrino Lorenese e dal titolo “The Beautiful Risk of Innovation- I rischi espliciti e impliciti dell’innovazione”. Relatori di diversa provenienza geografica e disciplinare si sono confrontati sul significato dell’innovazione, sul ruolo e posto della stessa nella scuola, e sui rischi ad essa connessi. Il titolo dell’incontro richiama esplicitamente il libro “The Beautiful Risk of Education” di Gert Biesta, Professor of Education presso la Brunel University, London che noi di Tuttoscuola abbiamo intervistato.

Il professor Biesta ha dato inizio alla tavola rotonda con la sua Lectio Magistralis durante la quale ha “esplorato le relazioni tra scuola e società attraverso le lenti dell’innovazione”. L’educazione moderna è costantemente spinta ad innovare, ma Biesta si è interrogato se tutto ciò che è nuovo sia necessariamente migliore, e ancora da chi e in base a cosa si decide il miglioramento in atto nelle scuole.

Senz’altro la scuola dovrebbe trasformarsi per rimanere al passo con i repentini cambiamenti sociali, favorendo l’acquisizione da parte degli studenti di skills, e non solo di conoscenze, ma  di competenze che permetterebbero loro di adattarsi facilmente e velocemente ai cambiamenti in atto.

Questa sorta di kit di sopravvivenza che annovera il problem solving, la collaborazione, la flessibilità e lo spirito di iniziativa, lascia però dei quesiti aperti per gli studenti: cosa devo farne di queste competenze? Quando devo seguire la corrente e quando devo oppormi ad essa? Biesta suggerisce di cambiare prospettiva e anziché chiedersi di quale tipo di scuola ha bisogno la società, focalizzare, invece su quale sia il tipo di società della quale la scuola ha bisogno.

Al termine della tavola rotonda ci siamo quindi soffermati con il professor Biesta su alcuni dei temi trattati.

Nel suo intervento ha parlato dell’innovazione come una sorta di ossessione, in che senso?
«Ho parlato dell’ossessione dell’innovazione come un’ossessione per il nuovo inteso come automaticamente migliore. Ho usato la metafora dell’industria della moda che mette sul mercato continuamente nuove linee di moda nella speranza che i consumatori siano spinti a comprare sempre di più».

Possiamo davvero parlare di innovazione nel nostro sistema scolastico?
«Due punti. Primo: intanto preferirei parlare di miglioramento, anziché di innovazione. Nutro qualche preoccupazione in merito alla continua richiesta di miglioramento. Ecco perché sostengo che dovremmo parlare piuttosto della necessità di accertarsi che l’istruzione sia un’esperienza positiva per tutti e ovunque, ed è una sfida importante, ma diversa dal cercare il meglio.
Secondo: ho fortemente evidenziato nel mio intervento che le scuole non sono a disposizione di ciò che la società richiede, è un dovere per le scuole conservare il buono che ci viene dal passato. La scuola, in un certo senso, ha il dovere resistere, in particolare, alle richieste impossibili che provengono dalla società, quali risolvere il problema della democrazia, dell’ineguaglianza, ecc. Questi sono problemi della società non problemi della scuola!».

A quali bisogni degli studenti l’innovazione dovrebbe fornire una risposta?
«Direi che gli studenti meritano un’istruzione che li prenda sul serio, che comprenda che sono a scuola non per sostenere esami e superare test, ma che devono avere tempo per esplorare il mondo e se stessi in relazione al mondo. Certo le verifiche sono parte dell’istruzione, ma ne costituiscono solo una piccola parte».

Oggi lei ha parlato del futuro e del concetto di desiderio. Secondo lei la scuola sta pilotando o peggio spegnendo i desideri?
«Il vero compito dell’educazione- nelle scuole ma anche in altri ambienti (pedagogia sociale, per esempio)-  è quello di aiutare le nuove generazioni a scoprire quale dei loro desideri li aiuterà a vivere una vita bella, sostenibile e democratica insieme agli altri. Il vero lavoro dell’educazione, in altre parole, è di aiutare i bambini e i giovani a non divenire schiavi dei propri desideri. Questa è una vera sfida anche per gli adulti. Una cattiva educazione è quella che vuole dire agli studenti cosa devono desiderare, e questo non li aiuta ad entrare in relazione con i propri desideri. Credo che l’educazione contemporanea non riesca molto bene a suscitare desideri relativi allo stare al mondo in maniera responsabile, quale soggetto dei desideri e non oggetto. Come ho precisato nel mio intervento oggi, questo accade perché la società moderna è in gran parte diventata una società guidata dall’impulso, il capitalismo moderno ci spinge a desiderare sempre di più al fine di acquistare sempre di più, piuttosto che ad indagare i nostri desideri. Il capitalismo contemporaneo vuole che noi si rimanga “infantili” invece di crescere. E non mi riferisco solo al desiderio per le “cose”, anche il desiderio dell’identità è diventato una grande industria e questo causa nei giovani diversi problemi nell’inseguire una particolare “immagine” di sé piuttosto che accettare se stessi e il proprio corpo».

Tuttoscuola partecipa alla Fiera Didacta 2018. Vienici a trovare al padiglione Spadolini, piano inferiore, stand 31: ti abbiamo riservato una piccola sorpresa!