Chiamata diretta addio: un’occasione sprecata

La scorsa settimana il Senato ha approvato in commissione Istruzione il disegno di legge con cui viene eliminata formalmente la chiamata diretta dei docenti, una norma introdotta dalla “Buona Scuola” e da sempre contestata dai sindacati, che comunque ne avevano chiesto e ottenuto il congelamento già dalla ministra del PD post-renziano, Valeria Fedeli.

Piena soddisfazione della deputata del Movimento 5 Stelle in commissione Cultura alla Camera, Lucia Azzolina, promotrice del provvedimento, a cui giudizio “il disegno di legge del MoVimento 5 Stelle consentirà finalmente a tutti i docenti di avere titolarità su scuola, piuttosto che per ambito territoriale. In questo modo garantiamo maggiore certezza sulla sede di lavoro, riducendo il rischio di cambiare scuola ogni tre anni con il conseguente danno per la continuità didattica di docenti e alunni. Vogliamo ristabilire criteri di reclutamento imparziali che possano restituire dignità e tutela ai nostri docenti”.

Bene l’eliminazione, anche dall’ordinamento giuridico, della chiamata diretta dei docenti e degli ambiti territoriali”, commenta a sua volta il segretario della Uil Scuola, Pino Turi, “in questo modo si afferma il modello di scuola partecipato e democratico”.

Non c’è dubbio che per i sindacati, interessati in primo luogo alla stabilità del posto di lavoro dei loro associati, si tratti di un successo, di una clamorosa rivincita sul modello incentrato sulla figura e sul potere decisionale monocratico del preside (“sceriffo”…) disegnato dalla Legge 107. Ma per la scuola e per gli studenti? Siamo sicuri che insieme all’acqua sporca del potenzialmente autoreferenziale ruolo attribuito dalla Buona Scuola al preside uti singulus non sia stato gettato via anche il bambino costituito dalla possibilità che sia la comunità scolastica uti societas (non il preside da solo) a scegliere i docenti, e non il contrario?

L’errore della 107 è stato quello di chiudere il preside nella torre d’avorio dei suoi poteri enfatizzandone il ruolo di “dirigente” di carattere amministrativo e manageriale anziché puntare sul ruolo di leader educativo, che egli avrebbe potuto assai meglio assolvere se fosse stato affiancato da un senior staff di insegnanti esperti e da organi collegiali (Consiglio di istituto, Collegio docenti) chiamati a condividere ed eventualmente anche a contestare le sue decisioni. Ma la Buona Scuola scelse il modello monocratico-manageriale, sopravvalutando con ogni evidenza la capacità del preside uti singulus di gestire i poteri attribuitigli. Con un esercito di soldati semplici alle spalle, senza una squadra strutturata di middle management.