Chiamata diretta addio: ucciso un sogno ‘morto’

“Vile, tu uccidi un uomo morto!”. Nei libri di lettura della vecchia scuola elementare quella frase accompagnava l’episodio della morte di Francesco Ferrucci per mano di Maramaldo, suscitando pietà per l’ucciso e disprezzo per l’uccisore. Questa volta, davanti al disegno di legge del sen. Pittoni per l’abolizione della chiamata diretta, non c’è ovviamente alcun sentimento verso la norma colpita né, ancor meno, per chi si appresta a darle il colpo di grazia.

La chiamata diretta era già moribonda al suo nascere e, nella sua impostazione, aveva fallito l’obiettivo rivoluzionario di assegnare alla scuola anziché al singolo docente il diritto di scelta.

Da sempre la sede di servizio l’hanno scelta i docenti mediante la mobilità; la 107/2015, invece, voleva trasferire questo diritto di scelta alla scuola, prevedendo, quindi, che i docenti venissero scelti anziché essere loro a scegliere. Era questa, in sostanza, la chiamata diretta nei confronti della quale tutti i sindacati hanno fatto opposizione, strappando con la ministra Fedeli una transitoria non applicazione.

Come ben sanno soprattutto i dirigenti scolastici, fin dalla sua prima applicazione, la chiamata diretta è risultata un flop: nata moribonda e di difficile applicazione.

Ora il sen. Pittoni si accinge a cancellarla formalmente. I docenti, una volta approvata la legge, rimarranno titolari nella sede scolastica in cui prestano servizio di diritto, e la titolarità di ambito rimarrà soltanto un ricordo.

La squadra non si sceglie, si gioca con quella che capita. L’idea di passare alla scuola e al suo dirigente il diritto di scelta degli insegnanti da utilizzare rimarrà un sogno: la cancellazione della chiamata uccide un sogno morto.