Successo scolastico: la ricetta coreana

Secondo l’istituto di ricerca Bruegel di Bruxelles (che ha avuto Mario Monti tra i suoi fondatori), citato in un recente articolo di Federico Rampini su Repubblica, la Corea del Sud costituisce un modello particolarmente virtuoso di uscita dalla crisi, essendo riuscita, anche grazie a rilevanti interventi di spesa pubblica, a superare del 10%, nel terzo trimestre del 2011, il PIL realizzato prima della crisi del 2008.

È convinzione diffusa che buona parte della forte ripresa economica della Corea del Sud si debba alla solidità e all’efficienza del suo sistema educativo, che porta quasi tutti i suoi giovani al diploma di istruzione secondaria (97%) e due terzi degli under 30 alla laurea e ad altri titoli di istruzione superiore.

È vero che, dopo il diploma, fortissima è la competizione e durissima la selezione (esclusivamente meritocratica) per entrare nelle migliori università, ma è anche vero che quasi tutti gli studenti arrivano alla conclusione degli studi secondari senza ripetere alcuna classe (le bocciature non sono previste) e che nei test Ocse-Pisa la Corea è ai primissimi posti, e spesso al primo, in quasi tutte le classifiche.

Qual è la ragione di fondo di queste straordinarie performances del sistema educativo coreano? Quella più importante non sembra essere la pur rilevantissima spesa per l’istruzione (oltre il 7% del PIL) ma l’elevata considerazione sociale nella quale viene tenuta l’istruzione, dovuta anche al peso della tradizione culturale confuciana, che mette l’istruzione in cima ai valori fondamentali della comunità insieme al senso civico, al rispetto degli insegnanti e degli anziani e alla lealtà verso lo Stato.

Si sa che gli studenti coreani (come quelli giapponesi) studiano molto anche perché subiscono la convergente pressione degli insegnanti e delle famiglie. Ma in compenso sanno tutti, a partire da quelli appartenenti alle classi sociali più disagiate, che l’impegno viene premiato e che la competizione si svolge su basi meritocratiche, nella massima trasparenza.

Sul successo della scuola coreana più che le variabili economiche, organizzative o curricolari sembrano pesare quelle culturali e soprattutto il prestigio sociale della scuola e degli insegnanti. Un modello di scuola, come si vede, non facilmente esportabile in un Paese, per esempio, come l’Italia. Ma anche un valido motivo per riconsiderare le priorità del paese (come ricorda anche Gian Antonio Stella in un editoriale sul Corriere della sera del 4 marzo: “Da dove ripartire? Dalla scuola”), e per riflettere a fondo su alcune debolezze strutturali del nostro sistema sociale e di istruzione.