Università/3. Le principali novità

Un altro aspetto singolare della vicenda che riguarda la riforma Gelmini è che il Fli, dopo aver provocato la sconfitta del governo su tre emendamenti minori, con l’evidente obiettivo politico di dimostrare il carattere determinante del proprio apporto, ha poi deciso per bocca del proprio leader Gianfranco Fini di votare e favore della legge, definita “una delle cose migliori di questa legislatura”.

Le ragioni addotte dal presidente della Camera, brevemente presentate venerdì scorso in un incontro con i docenti dell’università di Lecce, convergono con quelle indicate dal ministro Gelmini e da uno schieramento abbastanza ampio, che va dalla Conferenza dei Rettori (anche se il suo presidente Decleva è ora contestato da una minoranza dei suoi colleghi) alla Confindustria di Emma Marcegaglia, personalmente intervenuta a sostegno della riforma: la “certezza”, come ha detto Fini, che in caso di blocco di questa riforma “tutto rimarrebbe così com’è”, l’alto numero di laureati disoccupati soprattutto in certi settori, unito alla carenza di laureati in altri, che dimostra una sconnessione tra l’università e il mercato del lavoro, la mediocre qualità dei titoli di studio rilasciati da non poche università, l’eccessivo numero di sedi universitarie e poli didattici, che determina costi insostenibili (“322 in un Paese con 104 province”, ha ricordato Fini).

E poi, come continua a ripetere Gelmini, il carattere conservatore, non meritocratico e non incentivante, dell’attuale università sul fronte della selezione e valorizzazione sia dei docenti sia degli studenti. A queste ragioni pro riforma degli ordinamenti, condivise da una parte della intellighentsia di sinistra, vengono mosse dall’opposizione critiche di segno diverso (alcune di carattere apertamente ideologico), che convergono su un unico punto: la protesta per i tagli, o comunque l’insufficiente finanziamento riservato a università e ricerca.

Critiche alle quali si risponde, non solo da Gelmini, che il finanziamento (magari inadeguato) sta nella legge di stabilità, e che questa riforma va quindi giudicata solo sul versante delle innovazioni ordinamentali. Che, obiettivamente, appaiono comunque rilevanti. L’alternativa, come riconosce lo stesso Fini, sarebbe la conservazione dell’esistente. A chi conviene?