Università/1. La politica e la riforma

Il dibattito parlamentare sulla riforma dell’università coincide con la fase più delicata dei rapporti interni alla maggioranza che ha vinto le elezioni del 2008 con largo margine, ma che non ha saputo mantenere la compattezza che sarebbe stata necessaria per condurre in porto riforme come quella dell’università (ma lo stesso discorso si potrebbe fare, per esempio, per la giustizia) che richiedono l’approvazione di disegni di legge da parte del Parlamento.

La crisi del ‘Popolo della libertà’, con conseguente scissione (o espulsione) dell’ala finiana, e la successiva  nascita di un nuovo partito, ‘Futuro e Libertà’, erede di buona parte dell’ex ‘Alleanza Nazionale’, ha modificato gli equilibri politici e parlamentari iniziali, conferendo al Fli un notevole potere di interdizione a livello parlamentare, soprattutto alla Camera, come si è ben visto nella discussione sulla riforma dell’università.

E’ vero che – a meno di ulteriori sorprese – il leader del Fli Gianfranco Fini ha assicurato il voto favorevole dei deputati ‘futuristi’ sugli aspetti più importanti del provvedimento e sul voto finale (come esplicitamente richiesto dal ministro Gelmini, che in caso contrario ha minacciato il ritiro della legge), ma la netta sensazione che si ricava dalla vicenda di questa riforma è che sulle questioni di merito abbia prevalso il gioco politico, e più precisamente l’esigenza da parte del Fli di dimostrare il carattere indispensabile  e condizionante del proprio apporto per la tenuta dell’attuale maggioranza, e magari anche per la formazione di maggioranze diverse.