Università verso la riforma. Con fatica

Il ministro Gelmini ha colto al volo l’apertura della presidente di Confindustria verso il disegno di legge sull’università, attualmente all’esame del Parlamento (“va nella giusta direzione“), per “richiamare al senso di responsabilità tutti i parlamentari“, molti dei quali – va ricordato – sono anche docenti universitari, e spesso in passato si sono alleati o scontrati non tanto in base all’appartenenza politica quanto a logiche accademiche.

Ne è consapevole il ministro, che fa infatti appello a “tutti” i parlamentari per “battere culturalmente le spinte di chi vuole conservare lo status quo, di chi vuole che nulla cambi, di chi non ha a cuore il futuro dei giovani“.

Il ddl, approvato dieci giorni fa dalla commissione Cultura del Senato, dovrebbe essere calendarizzato per la discussione in aula nel mese di giugno. Molti sono stati gli emendamenti apportati al testo originario, in qualche caso con il contributo dell’opposizione, e si tratterà di vedere se e quanti ulteriori cambiamenti interverranno nei successivi passaggi parlamentari.

Tra i punti più importanti e delicati compare la valutazione dei docenti e dei ricercatori. Ogni tre anni i docenti dovranno presentare una relazione sull’attività svolta, e se la valutazione sarà negativa non percepiranno scatti di stipendio. Quanto ai ricercatori, gli attuali diventano in pratica una categoria ad esaurimento, e i nuovi non saranno più assunti a tempo indeterminato: potranno avere due contratti triennali, al termine dei quali saranno valutati ai fini del conseguimento dell’abilitazione nazionale e della eventuale successiva entrata in ruolo come docenti, previa chiamata.

Gli attuali ricercatori, che in gran parte svolgono compiti didattici, sono in agitazione perché vorrebbero vedere riconosciuta la loro autonomia come ricercatori e il loro ruolo di docenti (sia pure di terza fascia), ritenendo di averlo in qualche modo guadagnato sul campo, ma su questo punto è difficile che si formi in Parlamento una maggioranza che li sostenga, dato il consistente numero di professori-parlamentari che non condivide la loro richiesta, e l’ostilità della Conferenza dei Rettori.

Più tormentata è la questione della governance degli atenei. Per i Consigli di Amministrazione è caduto l’obbligo del 40 per cento di membri esterni, ma non il principio, verso il quale gli universitari nutrono una forte diffidenza. Scontenti sono anche alcuni rettori di lungo corso, il cui mandato non potrà superare gli otto anni e che potranno essere dimissionati dal Senato Accademico, sia pure con una maggioranza di tre quarti dei componenti.

Riuscirà il ddl a vincere le resistenze, di fatto conservatrici, dell’anomala accoppiata baroni-precari?