Un nuovo autunno caldo per la scuola?/2. Perché no

La grande frattura generazionale, culturale e sociale del Sessantotto vide la convergenza di vaste masse di studenti e di operai attorno a obiettivi e parole d’ordine di contestazione degli assetti esistenti e fu, almeno in avvio, un fenomeno di ampie dimensioni: trainato da minoranze iperattive, ma pur sempre esteso, coinvolgente, popolare, teso a un nuovo modello globale di società, con parole d’ordine come ‘l’immaginazione al potere’ o il salario ‘variabile indipendente’ o il ‘sei politico’.

L’Italia del tempo veniva da anni di sviluppo economico, occupazionale e di impetuosa scolarizzazione  non accompagnati da riforme strutturali, da un’equa redistribuzione delle risorse e delle opportunità. Una contraddizione che rese credibili quelle parole d’ordine, che contestavano in vario modo gli equilibri e i poteri tradizionali: quello dei padroni e dei baroni, e anche quello degli insegnanti di scuola secondaria, portatori di un modello culturale antiquato e ‘classista’.

Non ci sembra che attualmente esistano condizioni paragonabili a quelle: l’Italia di oggi viene da anni di crisi economica, di difficoltà occupazionali di cui è simbolo il lavoro precario (nella scuola come nei call center), di tentativi sistematicamente falliti di fare serie e innovative riforme della scuola e dell’università. Il ‘movimento’ del Sessantotto era all’attacco, quello di oggi gioca in difesa. Però il rischio di una ripresa della violenza, magari non ‘rivoluzionaria’ ma dovuta alla disperazione, c’è ed è forte. Sarebbe sbagliato sottovalutarlo.