Un nuovo autunno caldo per la scuola?/1. Perché sì

Per chi conosce gli avvenimenti del decennio 1968-1978, la piega che hanno preso le manifestazioni nelle ultime settimane, culminate negli scioperi e nei cortei dello scorso venerdì 8 ottobre, non può non destare preoccupazione.

Lanci di uova, sassi, pietre e petardi, riferiscono le cronache, si sono verificati in varie città e soprattutto a Milano, anche allora epicentro di quella che veniva a quel tempo definita l’area dell’antagonismo sociale, e che si esprimeva in numerose neoformazioni politiche, da Lotta continua ad Avanguardia operaia, da Servire il Popolo a una miriade di collettivi, tutti violentemente critici non solo contro il governo in carica, ma anche verso la sinistra tradizionale, in primo luogo il PCI e la Cgil di Luciano Lama.

Anche ora pullulano le neoformazioni, la cui aggregazione è facilitata dai social networks che si formano in internet, e compaiono nuove sigle come quelle dei ‘Corsari’ e del ‘Cantiere’ (a Milano), o di ‘Action’ (a Roma), che affiancano collettivi studenteschi, centri sociali, anarchici e anche segmenti estremisti del sindacalismo di base, fino a lambire la Fiom-Cgil.

Se ci si dovesse limitare agli episodi di violenza registratisi in questi giorni, compresi gli assalti alle sedi della Cisl e al suo segretario Bonanni, non sembrerebbe infondato il timore che la società e la scuola italiana abbiano imboccato la via di un nuovo autunno caldo, brodo di coltura di nuove e più gravi violenze. Ma il discorso va approfondito perché ci sono anche notevoli differenze con le vicende che caratterizzarono il primo, storico ‘autunno caldo’ e le sue conseguenze per il nostro Paese.