
Sono gli italiani i dirigenti scolastici più vecchi (e con meno poteri) dEuropa
In Francia (al cui modello centralizzato di amministrazione scolastica si è storicamente ispirato quello italiano) i concorsi a preside – o a dirigente scolastico, per usare un linguaggio ‘educationally correct’ – si fanno ogni due anni.
In Inghilterra, Paese a tradizione scolastica decentrata, non ci sono concorsi perché gli headteacher sono scelti in genere con contratti pro tempore dagli organi di governo delle scuole o dalle Leas (Local educational authorities) mediante bandi e colloqui con i candidati, senza alcun punteggio o graduatoria da rispettare, man mano che si liberano i posti.
Anche in Germania, dove i capi di istituto dipendono dai Laender (Regioni), i posti disponibili vengono immediatamente pubblicizzati in bollettini ufficiali e nei giornali.
I tre modelli amministrativi (accentrato, decentrato, regionalizzato), pur così diversi, hanno in comune una caratteristica: la tempestività nel coprire i posti che si liberano, come ha confermato il seminario internazionale sui dirigenti scolastici promosso a Roma la scorsa settimana presso il Miur (è intervenuta la sottosegretaria Ugolini) dalla Associazione Treellle e dalla Fondazione per la scuola delle Compagnia di San Paolo.
Caratteristica che il sistema scolastico italiano non possiede, tanto che si contano a migliaia i posti vacanti, coperti con fortunose reggenze e, in passato, da presidi incaricati.
Una delle conseguenze del patologico ritardo accumulato dall’Italia nell’assunzione dei capi di istituto è che la loro età media è diventata assai elevata. Nel 2006, secondo i dati presentati al seminario, l’85% dei dirigenti scolastici italiani aveva più di 50 anni, contro il 60% dell’Inghilterra e percentuali ancora più basse in altri Paesi europei.
Dopo sei anni l’età media si è certamente alzata, anche se il concorso appena terminato avrà contenuto l’incremento, ma il punto non è questo: il seminario ha piuttosto messo in evidenza i limiti e la contraddittorietà della stessa figura professionale del D.S., che è quella di un dirigente che non dirige (non può) una istituzione autonoma ad autonomia assai ristretta, che non sceglie e non valuta gli insegnanti, che non è premiato se fa bene e non è (quasi mai) punito se fa male. Non succede in nessuna parte del mondo. E’ un altro aspetto del malessere della scuola italiana.
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