Sono davvero troppi gli insegnanti della scuola italiana? Sì, ma…

Secondo un recente studio, promosso dalla Banca d’Italia e apparso nel sito www.lavoce.info, il numero di anni di istruzione completati dagli allievi delle scuole italiane nati tra il 1941 e il 1970 è aumentato di 3 anni, ma solo il 17% di tale pur notevolissimo risultato è ascrivibile alla riduzione del numero di allievi per docente, registratosi nel periodo considerato. Altri fattori sembrano aver esercitato una maggiore influenza, primo tra tutti il miglioramento del livello di istruzione delle famiglie di provenienza, che avrebbe inciso per un valore circa doppio, il 33%.

Sono dunque giustificati i tentativi del ministro Moratti (ma anche del suo predecessore Berlinguer) di ridurre il numero dei docenti italiani, che è in assoluto il più elevato – a parità di allievi, esclusa l’Università – tra quelli che si registrano tra i Paesi dell’OCSE? E’ forse più utile puntare su altri fattori, come l’educazione degli adulti o il miglioramento dei programmi, o una migliore formazione dei docenti, anziché sull’aumento del loro numero, e la conseguente diminuzione del numero di allievi per classe e per docente?

I ricercatori che hanno elaborato lo studio, G. Brunello, D. Checchi e S. Comi, si limitano ad osservare che dal punto di vista dell’economia dell’istruzione la scelta ottimale sarebbe quella di “eguagliare, al margine, i costi e i benefici“, e lasciano intendere che non necessariamente i benefici (per gli allievi e per la società) derivanti da un surplus di docenti sarebbero superiori ai relativi maggiori costi. Tranne che nelle situazioni in cui esistono ancora forti disparità regionali/locali, e in cui vi sia una rilevante influenza del background familiare sui risultati del sistema educativo. In questi casi sarebbe opportuno mantenere un più basso numero di allievi per docente. Ma la conseguenza sarebbe la formazione di organici differenziati per territorio e, presumibilmente, per livello e tipologia di scuola. Problema: sono disponibili i sindacati – e per altri versi il Ministero dell’Economia – a infrangere il tabù dell’unicità, a livello nazionale, dei criteri di formazione delle classi?