Secondo ciclo/2. Molti licei, nessun liceo?

Moratti come Berlinguer? Già il modello panlicealista della legge n. 30/2000 (Berlinguer-De Mauro) aveva suscitato più di un interrogativo sulla possibilità di compattare in un unico contenitore a base effettivamente unitaria i licei tradizionali a vocazione generalista (classico, scientifico, psicopedagogico, in parte artistico) con gli istituti tecnici, professionali e d’arte, a vocazione specialistica, e con carattere più o meno marcatamente professionalizzante.
E in effetti, anche allora, furono predisposti piani di attuazione della legge che prevedevano l’affiancamento di quattro aree: classico-umanistica con due indirizzi, scientifica anch’essa con due indirizzi, tecnica e tecnologica con sei indirizzi, artistica e musicale con “almeno due indirizzi“. In tutto 12 indirizzi (almeno), contro i 18 della Moratti.
Ma nella risoluzione approvata dalla Camera il 12 dicembre 2000, coi voti dell’allora maggioranza di centro-sinistra, si impegnava il governo “a far sì che, in particolare per l’area tecnica e tecnologica, nonché per quella artistica e musicale, il rafforzamento della dimensione culturale non ostacoli l’apprendimento di specifiche professionalità spendibili, al termine del quinquennio, sia sul mercato del lavoro, sia per l’accesso alla formazione tecnica superiore o all’università“, e si invitava a tener conto dei raccordi col mondo della formazione professionale e dell’apprendistato. Furono allora messe allo studio ipotesi di sviluppo curricolare che, anche avvalendosi degli spazi offerti dall’autonomia scolastica, tendevano a riarticolare e “curvare” sul territorio l’offerta di indirizzi, soprattutto nell’area tecnica e tecnologica (una formula binomiale che secondo alcuni nascondeva il vero binomio, “tecnica e professionale“, reso impraticabile dall’imminente riforma del titolo V, che di lì a poco avrebbe assegnato alle Regioni la competenza esclusiva sull’istruzione e formazione professionale).
Una riflessione, rivolta sia alla maggioranza che all’opposizione: perché non si prova, magari in occasione dell’esame parlamentare dello schema di decreto, a partire dagli elementi, anche quelli problematici, che evidenziano le affinità tra i due scenari riformatori (ce ne sono molti), anziché da quelli che servono soprattutto a snobbare o ad attaccare l’avversario?