Scuola giapponese: le ragioni di un successo
Si è tenuta in questi giorni a Toyama in Giappone la riunione dei Ministri dell’Istruzione del G7.
Il ministro Valditara ha sostenuto la centralità della personalizzazione degli apprendimenti, per valorizzare i talenti di ogni giovane, non lasciare indietro nessuno e dare a ogni studente un’opportunità di realizzare al meglio le sue potenzialità; ha altresì sottolineato l’importanza di ridare autorevolezza al ruolo dei docenti, rimettendo la professione docente al centro della società, puntando su qualità e formazione del personale docente. E ha messo in luce la necessità di portare la cultura del lavoro nelle scuole e il ruolo dell’istruzione professionale. “È opportuno dare spazio a docenti esterni dove manchino adeguate specializzazioni, garantire alternanza scuola lavoro e apprendistato”.
Con l’occasione Tuttoscuola fa un approfondimento sul sistema scolastico giapponese, riportando un’interessante testimonianza di una lettrice di lì.
Nelle indagini comparative internazionali sugli apprendimenti scolastici (OCSE Pisa e IEA Timss e Pirls) i risultati ottenuti dagli studenti delle scuole giapponesi risultano da sempre ai primi posti, insieme a quelli dei coreani e di altri Paesi orientali. Le classifiche si fondano sui risultati ottenuti nei test, che vengono concordati e predisposti da apposite commissioni tecniche internazionali in inglese – e poi tradotti nelle varie lingue – e riguardano i livelli di prestazione raggiunti nelle principali competenze di base: padronanza della lingua materna (reading literacy), abilità di calcolo (numeracy), scienze (science skills).
A cosa si devono questi brillanti risultati? Alla migliore qualità degli insegnanti, ai metodi di studio, alla configurazione dei curricula, alla quantità di risorse investite? Banalmente si potrebbe rispondere: a una combinazione di tutti questi fattori. In realtà i fattori che incidono di più non hanno carattere strutturale ma culturale, e sono fortemente influenzati dall’etica confuciana: il grande rispetto per gli insegnanti e per gli ambienti di apprendimento (che gli studenti curano e tengono puliti insieme ai docenti) e l’impegno nello studio, sentito non tanto come un diritto ma come un dovere, e che induce gli studenti e le loro famiglie (non solo quelle più agiate, ma in pratica quasi tutte) ad aggiungere alla scuola del mattino un doposcuola per tre, quattro e perfino sei pomeriggi alla settimana, senza escludere la domenica, in vista dei temuti esami finali di scuola elementare (6 anni), media (3 anni) e secondaria superiore (3 anni), dal cui esito può dipendere l’iscrizione ai migliori corsi successivi, fino a quelli universitari.
Ce lo conferma una nostra lettrice giapponese, alle prese con l’iscrizione delle figlie, una delle quali, Noriko, si sta preparando per sostenere l’esame d’ammissione a una rinomata scuola media privata, dove potrà frequentare anche i tre anni di scuola superiore (consigliamo di leggere la lettera che ci ha scritto, che racconta uno spaccato molto interessante di come è vissuta la scuola nel paese orientale): lì gli istituti comprensivi, a differenza che da noi (elementari+medie), comprendono le medie e le superiori in unico ciclo di sei anni, un modello ormai molto diffuso. Noriko non solo frequenta scuola e doposcuola, ma studia anche la domenica. Si può essere ragionevolmente sicuri che all’esame farà benissimo…
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