Riforma formazione e reclutamento/4. Che fare?

Le tre questioni delle modalità di formazione iniziale dei docenti, del loro reclutamento e della loro carriera, si trascinano da decenni nel dibattito politico e culturale che riguarda la scuola italiana. Lo stesso è avvenuto anche in altri Paesi, che però hanno provato ad affrontarle con riforme organiche che da noi sono mancate, o si sono rivelate fragili e inadeguate.

Sulla formazione iniziale e abilitazione dei docenti, tranne che per quelli della scuola dell’infanzia e primaria, si sono succeduti negli ultimi venticinque anni modelli di formazione post-lauream che non si sono stabilizzati, dalle SSIS ai TFA ai PSA al quasi nulla degli ultimi anni, quando è stato richiesto agli aspiranti insegnanti di conseguire prima o dopo la laurea i fantomatici 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche e metodologie e tecnologie didattiche, quasi mai accompagnati da esperienze didattiche in classe. Basterà passare ai 60 CFU previsti dal provvedimento varato dal governo? Riteniamo che molto, quasi tutto, dipenderà dalla loro curvatura in senso operativo, dallo spazio che vi avranno il tutoraggio, i contatti con gli studenti e i loro insegnanti, insomma dalla consistenza effettiva e dalla serietà di queste esperienze, da verificare attentamente soprattutto quando fossero realizzate per via telematica.

Sul reclutamento, autentico dramma esistenziale della scuola italiana, costellato da una serie ininterrotta di leggine e sanatorie, ripetiamo quanto Tuttoscuola va sostenendo da sempre: fermo restando l’accesso per concorso non dovrebbero essere gli insegnanti (o anonimi burocrati a farlo per loro) a scegliere le scuole, ma il contrario. Andrebbe individuato un meccanismo di incrocio tra domanda e offerta, incentivando con sostanziosi benefici economici la scelta delle scuole più difficili da parte degli insegnanti più esperti. Permanenza almeno triennale nelle sedi, a garanzia della continuità.

Quanto alla carriera dovrebbero essere previste, possibilmente per via contrattuale, figure intermedie tra dirigente scolastico e docenti ordinari, formati dalla Scuola di Alta Formazione, con retribuzioni e funzioni differenziate. Gli avanzamenti retributivi dovrebbero essere legati allo sviluppo professionale, e solo in limitata misura all’anzianità di servizio. La formazione continua (al di là di quella obbligatoria) acquisita dai docenti fuori dell’orario di servizio, come positivamente prevede il provvedimento del governo, dovrebbe essere retribuita dalla scuola di appartenenza se finalizzata all’ampliamento dell’offerta formativa di quest’ultima. Ma, a nostro avviso, dovrebbe essere incoraggiata sempre. La formazione continua è il sale dell’innovazione didattica.

Insomma il testo circolato, pur includendo alcuni passi avanti importanti, ha bisogno di tanti correttivi, che riguardano anche regole incomprensibili sui criteri di accreditamento degli enti di formazione e inefficaci sugli standard di riferimento relativi ai costi della formazione. Ci torneremo.

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