Razionalizzazione della rete scolastica. Voglia di disubbidienza civile

La manovra finanziaria derivante dalla legge 133 del 6 agosto scorso, completata dal decreto legge 154 del 7 ottobre sul commissariamento di Regioni ed Enti locali inadempienti, sta provocando non poche reazioni a livello istituzionale.

Non si tratta soltanto di critiche ai provvedimenti, come ha fatto il presidente Errani a nome delle Regioni, o inviti a chiarire e a confrontarsi sulle questioni, come ha fatto l’assessore Costa per conto degli assessori regionali alla scuola. Ci sono anche dichiarazioni di rifiuto a procedere e di intenzione a non mettere in atto le azioni di ridimensionamento richieste, ma la difficoltà di realizzare gli adempimenti nei tempi richiesti è innegabile.

Si tratta di questione molto delicata, quando viene da rappresentati delle istituzioni che sembrano, a volte, preoccupati anche del loro ruolo politico oltre che di quello istituzionale.

Al di là delle probabili strumentalità o degli equivoci, sui problemi della razionalizzazione delle rete scolastica e dei punti di erogazione del servizio (plessi scolastici, e scuole) resta, comunque, una esigenza di fondo: il confronto tra il livello nazionale e quello territoriale.

Non si può pensare, ad esempio, di decidere a Roma se e come togliere o ridimensionare un servizio scolastico a centinaia di chilometri di distanza senza ascoltare chi ha per legge competenza a istituire i servizi scolastici (decreto legislativo 112/1998).

Anche per il potenziamento del tempo pieno nella scuola primaria non basta che il ministro annunci un possibile aumento dei posti senza concordare contestualmente con la rappresentanza dei Comuni (Anci) la fattibilità del suo progetto che richiede ampliamento e adattamento dei locali scolastici e attivazione dei servizi di mensa a carico dei Comuni stessi.

È anche questo dell’interazione istituzionale un altro segno necessario di attenzione alla qualità del servizio che il ministro Gelmini farà bene a mettere in atto presto.