Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

Quello sconsiderato consumo di carne…

Con questo articolo il prof. Sergio Sgorbati, docente emerito di Botanica presso l’Università di Milano Bicocca, prosegue la sua collaborazione con Tuttoscuola, avviata con l’intervento dedicato alla Carta di Milano presentata all’Expo 2015 di Milano. Nei prossimi contributi il prof Sgorbati approfondirà le tematiche relative agli ambienti naturali, all’origine delle piante coltivate e alle conseguenze che le attività antropiche hanno sulla biodiversità ed il funzionamento degli ecosistemi. I contributi saranno poi raccolti e organizzati all’interno dello spazio Ecoscuola, sezione Educazione ambientale.

 

Tuttoscuola ha giustamente sottolineato, nelle scorse settimane, l’importanza degli aspetti educativi presenti nella formidabile enciclica “Laudato Si” di Papa Francesco, una riflessione a 360 gradi sui temi dell’ambiente, dell’economia e della società che considera i molteplici punti critici dell’attuale modello di sviluppo.  Qui di seguito vorrei sottolineare come il cambiamento degli stili di vita, acquisibile all’interno di un percorso educativo svolto in stretta dipendenza fra scuola e famiglia, impostato a livello dei singoli paesi e sostenuto dalla Comunità Europea e dall’ ONU, porterebbe  enormi benefici non solo all’ambiente, ma anche all’economia ed alla società, accelerando dal basso la transizione verso uno sviluppo più consapevole e sostenibile. Come primo esempio porterei il consumo di carne.

Consumo di carne. Secondo la FAO, nei paesi sviluppati ciascuno consuma mediamente 79,3 chili di carne all’anno; ogni cittadino degli Stati Uniti ne consuma mediamente 125, mentre ogni europeo ne mangia circa 74. Nei paesi in via di sviluppo, invece, ci si attesta su un consumo annuale medio di 33,3 chili, ma il trend è in crescita. Si calcola che in Cina ogni anno 100.000 tonnellate di antibiotici siano somministrate agli animali di allevamento. Negli Stati Uniti l’80% dei vaccini prodotti è destinato al settore dell’allevamento.  Lo studio sottolinea come il 70% delle terre arate sul pianeta sia oggi utilizzato per produrre mangimi animali (coltivando soia, mais ed altri mangimi), sottraendo terreno alle colture che potrebbero nutrire direttamente l’umanità. Ciò è avvenuto ad opera di grandi multinazionali che hanno espropriato enormi superfici di terreno, sottratto alle coltivazioni dei piccoli agricoltori. Nel mondo, il 95% della carne sul mercato proviene da allevamenti industriali, mentre in Europa la percentuale si aggira intorno all’80%. Tyson Food è la prima compagnia mondiale per la produzione di carne e la seconda nella lavorazione di carni avicole e suine. Settimanalmente l’azienda macella 42 milioni di polli, 170.000 bovini e 350.000 suini Il mangime arriva da coltivazioni intensive, che impiegano pesticidi e fertilizzanti dannosi per l’ambiente e spesso distano migliaia di chilometri dalle zone di allevamento. Gli allevamenti industriali inquinano acqua, suolo ed aria e contribuiscono in maniera significativa alle emissioni di gas serra, al cambiamento climatico ed all’abbattimento di foreste nei paesi tropicali per fare spazio ai pascoli ed alle monocolture da cui ottenere mangimi.

Il settore zootecnico è uno dei principali responsabili della produzione di gas serra che stanno alterando il clima del pianeta. L’allevamento di animali genera, secondo la FAO, il 18% delle emissioni totali di gas serra nell’atmosfera. Secondo il World Watch Institute, invece, l’incidenza dell’allevamento è addirittura del 51%, perché occorre tenere conto nelle valutazioni dell’ossigeno necessario agli animali per vivere, del mancato impiego del terreno per produrre cibo per gli esseri umani o per ospitare le foreste. Il calcolo del WWI tiene conto anche dell’energia usata per cucinare la carne, per la produzione, la distribuzione e il packaging dei prodotti di origine animale e dell’energia necessaria per produrre medicinali veterinari. L’alto livello dei gas serra prodotto dagli allevamenti è dovuto anche alle emissioni di metano, un gas serra 20 volte più potente dell’anidride carbonica.  E’ facile rendersi conto come il ridurre solo di metà il consumo di carne corrispondente a 1.3 miliardi di  tonnellate di granaglie necessarie per allevare gli animali, dimezzerebbe la quota di gas serra emessa dagli allevamenti e, cosa ancor più importante, risolverebbe il problema della fame nel mondo.

Un altro aspetto della proliferazione degli allevamenti industriali estremamente negativo per il clima e la biodiversità è l’abbattimento delle foreste per ricavarne pascoli e per la coltivazione di piante come la soia. Tre quarti della soia prodotta a livello globale viene utilizzata per l’alimentazione animale. L’allevamento del bestiame e la coltivazione della soia, insieme all’industria del legname, è una delle cause principali della deforestazione nella regione amazzonica. Negli ultimi decenni vi è stata una costante crescita della superficie coltivata a soia che ormai copre oltre 1 milione di chilometri quadrati dell’Amazzonia: una superficie pari alla totalità dell’Europa settentrionale (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi messi insieme)

Per impiantare una monocoltura di soia, si abbattono migliaia di chilometri quadrati di foresta tropicale ricchissima di specie vegetali ed animali.

In molte regioni del pianeta già oggi si affronta una grave crisi idrica e gli scienziati prevedono che nel prossimo futuro questa si aggraverà notevolmente. In termini di impronta idrica, si calcola che in un allevamento convenzionale siano necessari circa 15.500 litri di acqua per ottenere un chilo di carne di manzo (calcolando quanta ne serve per allevare gli animali e irrigare i campi in cui si coltivano i mangimi), 3920 per un chilo di pollo, a fronte di soli 1827 litri per un chilo di grano e 290 per un chilo di patate direttamente impiegati per l’alimentazione umana.

Oltre all’enorme danno ambientale, lo sconsiderato consumo di carni nei paesi occidentali, in veloce aumento anche in quelli in via di sviluppo, comporta seri danni alla salute dei consumatori, con gravi costi sanitari. Nel contesto di un’educazione civica ed ambientale, anche l’educazione alimentare è un tema importante da trattare nelle scuole, al fine di conseguire un consapevole ridimensionamento del consumo di carni, con benefici per la salute individuale e per l’ambiente.

Sergio Sgorbati

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