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Summit sul clima. Sull’orlo del precipizio

di Sergio Sgorbati*

La temperatura media del pianeta è aumentata di 1.2 °C dall’inizio dell’era industriale. È aumentata di 0.6 °C dal 1850 al 2000 e di altri 0.6 °C in soli 20 anni dal 2000 al 2020. I dieci anni più caldi sono tutti avvenuti dall’inizio di questo secolo (Met Office, UK, 14 gennaio 2021).

Il quotidiano la Repubblica del 23 aprile 2021 riporta un articolo di Federico Rampini riguardante il vertice sul clima tenutosi in occasione della giornata della Terra e promosso dal Presidente USA Joe Biden, al quale hanno partecipato in streaming 40 capi di governo, tra cui i 17 leader responsabili dell’80% delle emissioni di anidride carbonica. Il giornalista riporta le opinioni di alcuni tra i principali leader:

Joe Biden: gli USA si mettono in cammino verso l’obiettivo di dimezzare le emissioni di gas serra entro il 2030.

Xi Jinping: servono ambizioni e azioni senza precedenti. Raggiungeremo la neutralità carbonica prima del 2060.

Vladimir Putin: entusiasti di lavorare con la comunità internazionale. Massima responsabilità per gli impegni assunti.

Jair Bolsonaro: stop alla deforestazione illegale entro il 2030, ma ci sia un’equa remunerazione per i nostri servizi.

Ursula von der Leyen: L’Europa sarà il primo continente neutro. Ma non vuole essere l’unico. La lotta al cambiamento climatico sarà il motore della ripresa economica.

Le affermazioni dei vari leader sono in sintonia con quelle emesse negli innumerevoli meeting internazionali tenuti sul clima nei passati decenni con due protocolli (Kyoto 2003 e Parigi 2015) finora completamente disattesi, nonostante i continui richiami e l’urgenza di drastici interventi sollecitata dai cimatologi.

Come ha detto il Presidente Draghi poco dopo l’insediamento del suo governo a proposito della riforma fiscale, un sistema complesso deve essere affrontato nella sua globalità, non parzialmente e senza una visione d’insieme. Allo stesso modo anche la crisi climatica non può essere affrontata separatamente dalle due altre crisi che incombono sul pianeta in questo secolo, la perdita di biodiversità e le pandemie, che hanno alla base l’impatto ormai insostenibile che le attività antropiche hanno sul pianeta.

La crisi climatica sta subendo una veloce accelerazione, al di là delle peggiori previsioni dei climatologi, come è possibile osservare dall’impennata della temperatura media del pianeta durante gli ultimi decenni (vedi figura). I leader hanno preso in considerazione solo la diminuzione dell’emissione dei gas serra.  Lodevole l’impegno di Biden di dimezzare al 2030 le emissioni di CO2, dopo la disastrosa presidenza Trump a questo riguardo e considerando che fino a poco tempo fa gli USA sono stati i principali inquinatori, superati ora dalla Cina. La quale Cina rilascia la promessa di raggiungere la neutralità carbonica nel lontano 2060, mentre continua a aumentare le sue emissioni costruendo sempre nuove centrali a carbone. L’ineffabile Putin, dopo aver costruito le sue fortune personali sul petrolio, pronuncia parole di circostanza, mentre pensa allo sfruttamento dei giacimenti artici reso possibile dal disgelo. L’Europa, l’unica ad aver aderito al Protocollo di Kyoto, sembra in grado di poter tenere fede agli impegni diminuendo le sue emissioni, anche se queste ormai contano solo per il 10%. Le parole più inquietanti sono quelle del presidente del Brasile Bolsonaro che sembra voler subordinare la riduzione della deforestazione dell’Amazzonia (da lui stesso incoraggiata durante la sua presidenza) non ora, ma fra dieci anni, a una richiesta di congrui indennizzi.

Anche nella migliore delle ipotesi, difficile da credere dati i precedenti, e cioè il raggiungimento della neutralità carbonica promessa dai principali paesi inquinatori, la temperatura continuerà ad aumentare perché il surplus di gas serra in atmosfera è destinato a perdurare per secoli, attivando processi di incremento delle temperature (minori superfici bianche che riflettono la radiazione solare, disgelo del permafrost con rilascio di metano, gas serra molto più potente della CO2, siccità, deperimento delle foreste, incendi, aumento della respirazione dei terreni etc.). Il risultato porterebbe a un aumento delle temperature a fine secolo di 4-5 °C, simili a quelle di altre ere geologiche, con conseguenze tali da cambiare radicalmente l’aspetto del nostro pianeta e ipotecare il futuro dell’umanità.

Alla diminuzione delle emissioni fino alla neutralità va necessariamente abbinato un assorbimento della CO2 atmosferica per poter limitare l’aumento delle temperature. L’unica realistica possibilità consiste nel bloccare al più presto la deforestazione e avviare dove possibile la riforestazione, perché solo la conservazione della vegetazione naturale e la crescita delle piante può sottrarre CO2 all’atmosfera (i metodi industriali di sottrazione della CO2 all’atmosfera avrebbero effetti limitati a costi insostenibili). Ecco che allora la lotta al cambiamento climatico andrebbe di pari passo con la conservazione della biodiversità, legata alla conservazione degli ecosistemi naturali. Il problema riguarda in particolare le foreste tropicali che nell’ultimo secolo hanno perso più della metà della loro superficie. Gran parte delle foreste tropicali del sudest asiatico e dell’Africa sono andate perse. Occupano ormai solo il 6% della superficie del pianeta, ma si ritiene che ospitino più di metà della biodiversità terrestre. Una particolare attenzione va riservata all’Amazzonia. C’è da rimanere allibiti all’indifferenza con cui si assiste alla sua progressiva distruzione. L’umanità pagherà molto caro la distruzione della più grande foresta pluviale del pianeta, in termini di perdita di un’enorme biodiversità, di peggioramento del clima per emissioni di grandi quantità di anidride carbonica e perché l’Amazzonia rischia di diventare una bomba sanitaria per le pandemie. Le epidemie e pandemie degli ultimi decenni si sono quasi tutte verificate nei paesi tropicali e subtropicali ampiamente disboscati del sudest asiatico e dell’Africa centrale. L’abbattimento della foresta amazzonica, la costruzione di strade, di centri abitati, l’allevamento di milioni di animali, sono le premesse per la genesi di nuove pandemie.

Oltre agli impegni internazionali che non possono essere più disattesi, è necessaria anche la corretta informazione e la conoscenza dei problemi da parte delle persone. La scuola ha un compito fondamentale per l’educazione civica e ambientale dei cittadini che devono sentirsi personalmente impegnati. Solo così si potranno concretizzare comportamenti consoni a un effettivo sviluppo più sostenibile: economia circolare, raccolta differenziata, riduzione degli sprechi, energia verde, trasporti e case ecologiche, minor consumo di carne con massima riduzione degli allevamenti intensivi, agricoltura biologica etc. La tecnologia offre possibilità immense che devono essere però indirizzate sempre più verso la conoscenza, il rispetto e la conservazione della biosfera che ci ha prodotti e alla quale sempre apparterremo.

*Università di Milano Bicocca – Dipartimento di Scienze ambientali
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