
Quella critica un po ideologica allattuale tempo pieno
In questi primi segnali di ritorno ad un autunno caldo per le scuole, ancora una volta riappare una critica al “nuovo” tempo pieno della scuola primaria uscito dalla manovra finanziaria dell’ultimo triennio. Una critica che ha qualcosa di pregiudiziale. Perché?
Come sappiamo, la riduzione di risorse umane nella scuola primaria ha toccato anche il tempo pieno che ora, rispetto al vecchio modello di due docenti titolari in ogni classe, ha subito una limitazione delle compresenze e una riorganizzazione dei docenti che si avvicendano all’interno della classe.
Che tutto questo abbia prodotto più difficoltà per gli insegnanti sotto l’aspetto organizzativo e anche una maggiore complessità nella gestione della classe è di tutta evidenza.
Ma ritenere che, di conseguenza, la qualità dell’offerta formativa ne abbia automaticamente risentito è tutto da dimostrare, come, ovviamente, è da dimostrare il contrario, cioè che “movimentando” l’organizzazione del lavoro nella scuola si ottenga un migliore livello qualitativo dell’insegnamento e dell’apprendimento.
Troppo spesso la scuola viene valutata non per quello che effettivamente è oppure per come realizza (bene o male) la sua mission, ma, in modo astratto e ideologico, per quello che potrebbe essere.
In questo caso il vecchio tempo pieno è stato assunto a santuario, ad icona della scuola di qualità. Occorre meno ideologia e più senso pragmatico nella sua valutazione. E forse non sarebbe male che qualche ricerca approfondita non di parte cercasse di misurare gli effetti e le ricadute formative di questo particolare modello di tempo scuola che da anni fa discutere.
L’unica cosa certa – per le famiglie – sono le 40 ore di scuola settimanale confermate nel vecchio e nel nuovo modello. E questo non è poco, soprattutto se a fruirne è un numero di alunni in aumento.
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