Primo giorno di scuola, quel ‘rito’ sempre uguale che ci rassicura ma che vorremmo un po’ diverso

Accompagnando Bianca al suo primo giorno di scuola mi sono sentito immerso, di nuovo, in quella strana sensazione di ansia mista a gioia che mi prende sempre quando varco il cancello per la prima volta dopo l’estate.

Sia che l’abbia fatto da bambino, da educatore, docente o genitore, l’emozione del primo giorno è come uno sciame d’api nello stomaco che fa su e giù, è forte e totalizzante. Prima di essere inghiottito dalla folla di mamme e papà che festanti scattano l’immancabile foto di rito penso che, in fondo, certe emozioni legate alla scuola non cambieranno mai.

Parlo, per esempio, della gioia di ritrovarsi, di farsi quello strano augurio settembrino di “buon anno” che se non sei a contatto con la scuola proprio non puoi capire. I commenti sui diari e sugli zaini che accompagneranno i nostri bambini per tutto l’anno scolastico sono momenti d’incontro collettivo che caratterizzano un’intera nazione. Se usciamo dalla dimensione strettamente personale però, mi viene da pensare che non sono solo queste note di colore gli aspetti che non cambieranno mai…

Il compagno di classe di Bianca che ha una certificazione di disabilità in base alla legge 104, infatti, non solo non avrà la docente di sostegno che lo scorso anno ha impiegato tanta fatica per entrare in una relazione virtuosa con lui ma, almeno per i primi giorni, non sarà accolto da nessuna insegnante di sostegno, perché non è stata ancora nominata. Gli educatori, neanche loro, al momento pervenuti.

La girandola di docenti precari aumenta poi il senso di fragilità e di questo famoso “merito” che dovrebbe caratterizzare la scuola italiana non si vede traccia. Insomma, se da un lato ci sono riti e totem che fanno parte della coscienza collettiva nazionale che spingono a considerare la scuola come luogo del cuore, prima che ancora un luogo del cognitivo, dall’altro sembra che difficoltà endemiche e strutturali della scuola siano insormontabili e anche se cambiano ministri e sottosegretari, soluzioni non se ne trovano.

Ho lasciato che la piccola Bianca entrasse in classe insieme alle sue amiche. L’ho vista entrare serena e un po’ preoccupata contemporaneamente, ma felice di essere di nuovo all’interno di mura amiche. Uscendo non riesco a non pensare come dovremmo avere come nazione maggior cura dell’universo scuola, ad esempio dando notizia non solo quando le cose non vanno, quando episodi di bullismo stravolgono le vite delle famiglie o quando a seguito di ricorsi si ottengono promozione probabilmente immeritate. Mi piacerebbe che la scuola fosse alla ribalta ogni giorno, vorrei che si raccontasse della fatica e dell’impegno di accogliere tutti gli alunni, delle vie crucis di docenti plurilaureati che per lavorare devono spostarci a centinaia di km da casa, insomma, vorrei che la scuola vera fosse conosciuta e apprezzata per quello che veramente è.

Vorrei, ma credo che le cose difficilmente cambieranno. Non per questo mi abbatterò, così come sono certo non faranno le migliaia di docenti e dirigenti appassionati che  continueranno, per quanto possibile, a impegnarsi per costruire la scuola che sogniamo e che i nostri figli e studenti meritano.

 

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