Prima prova maturità 2019: ‘Il porto sepolto’ delle competenze?

C’era una volta, non molto tempo fa, la traccia sul poeta Caproni, seguita, a breve distanza dall’analisi del testo del “Giardino dei Finzi Contini” di Giorgio Bassani. Due testi rispettivamente del 1991 e del 1962, epoche quasi sconosciute ai “programmi” (guai a parlare di programmi, trovi sempre qualcuno che ti ricorda che non esistono più, anche se nella pratica quotidiana la realtà è ben altra) che di fatto spingevano gli studenti a dimostrare di saper sviluppare le proprie competenze, dovendo utilizzare categorie e schemi per risolvere problemi non noti. Ma in fondo, perché proseguire sulla linea tracciata, anche se questa aveva portato buoni frutti? Per non rischiare, meglio tornare al classico dei classici, che, come sappiamo, non invecchia mai.

I maturandi del 2019, nati del 2001 è bene ricordarlo, hanno dovuto dimostrare di conoscere testi di oltre un secolo fa.  La poesia “Risvegli” tratta dal “Porto sepolto” di Ungaretti è stato pubblicato per la prima volta nel 1916, mentre “Il giorno della Civetta” è del 1947. Autori e lavori che rientrano, Sciascia proprio per un pelo, nei (non) programmi del quinto anno, di fatto un boccone già masticato da maturandi degli ultimi trenta, quarant’anni. Prima di proseguire, ci preme chiarire che ad essere messa sotto la lente d’ingrandimento non è la bellezza dei versi e dei testi scelti. Questi, infatti, sono pilastri della storia della poesia e della letteratura italiana, ed è un bene che vengano studiati e compresi dagli studenti italiani. Ciò che qui si intende affrontare è la scelta di individuare due autori che, rispetto alle scelte coraggiose del passato, non aiutano lo studente a riflettere in condizioni di novità.

“Perché dunque usare il coraggio, la fantasia, la capacità di riflessione e critica quando possiamo utilizzare gli appunti della nostra prof, che, in un mattina di febbraio ci ha spiegato Ungaretti”? Credo che molti maturandi avranno ragionato più o meno così. Ed hanno fatto bene. Perché chiedere loro di lavorare sulle competenze, sulla capacità di rispondere alla complessità di una società mutevole e di difficile comprensione, quando ho l’ancora di salvezza degli appunti letti e riletti tante volte? Meglio andare sul sicuro…

Un silenzio assordante è dato dalla mancanza del tema storico, che anche se scelto da un’esigua minoranza dei maturandi degli ultimi anni, rappresentava una possibilità di riflessione su argomenti e problematiche estremamente attuali, anche se riferiti al passato. Si è forse cercato di compensare questa mancanza con l’individuazione del testo di Corrado Stajano relativo alla raccolta di saggi “La cultura italiana del Novecento”. In questo caso il rischio è che la toppa appaia peggio del buco stesso. Perché, ci chiediamo, eliminare il tema storico e poi chiedere ai maturandi di riflettere sulla cultura italiana del Novecento?

Non ci addentreremo con queste riflessioni all’interno delle varie tracce, proponendo copia e incolla di commenti e antologie pescati su internet, non ci interessa. Ci sembra invece più opportuno domandare come mai, nell’anno in cui finalmente acquisisce maggior peso il curricolo degli studenti, dove si insiste sul valore della ricerca e della riflessione e soprattutto dopo anni in cui si tentava di chiedere agli studenti di formulare ipotesi orinale e innovative, si sia scelto di tornare, stancamente, ai soliti e consueti “porti sepolti”.