Perché bisogna garantire al più presto il ritorno a scuola

Di Teresa Madeo

Bisogna garantire al più presto il ritorno dei bambini non solo a scuola, ma alla libertà di crescere, di essere tra pari. Non andare a scuola non viene vissuto dai bambini come un evento positivo. L’assenza di socializzazione e, in alcuni casi, la mancanza di risorse tecniche per la didattica a distanza costituiscono un problema durante l’isolamento domiciliare. Nella loro fragilità sono stati attraversati dall’ignoto e invisibile virus e da un bombardamento informativo, sentito di scorcio e confusamente nelle parole di papà e mamma, nel “morire da soli” dei nonni, nel nascondersi dietro le mascherine come in un gioco che mai si sarebbe voluto conoscere. La noia e la solitudine hanno accompagnato fantasie e pensieri, negando loro sonni tranquilli.

Io credo che i bambini abbiano spesso una resilienza ai traumi migliore di noi adulti, più spontanea, immediata, essenziale: sanno per esempio distrarsi, allontanando anche solo momentaneamente ciò che non piace. I bambini non hanno bisogno del “to cure” ma dell’“I care” donmilaniano: non è tanto necessario curarli, quanto prendersi cura di loro, riempiendo quello di cui sono parte di ottimismo e volontà positive, fornendo un approccio realistico agli eventi del coronavirus, così da consentire opportuna rielaborazione dell’accaduto che scongiuri traumi irreversibili.. Dunque urge una prioritaria attività educativa, di accompagnamento, di tutela, non necessariamente terapeutica, ma sicuramente affettiva.

Tante voci si sono levate per mostrare le difficoltà di questo periodo, per i genitori, che non saprebbero a chi affidare i propri figli; per il settore della scuola, che sta collassando, per l’economia tutta. Tutte le ipotesi messe sui tavoli delle trattative sono condivisibili, ma tutte portatrici di un’unica visione, centrata sul punto di vista e sugli interessi dell’adulto, mai su quelli dei bambini. Questi ultimi però stanno pagando un prezzo altissimo nella drammatica situazione emergenziale, senza che nessun urgenza si presenti in loro favore a rivendicare, per loro conto, quei diritti al gioco, alla socializzazione, all’istruzione, all’uguaglianza a cui si riferisce l’articolo 3 della nostra Costituzione e a cui si sono riferiti i nostri padri costituenti quando vollero una scuola pubblica, gratuita e per tutti. 

La scuola è indispensabile per i bambini, perché rappresenta oggi l’unico reale laboratorio di contaminazione sociale e culturale, dove le diversità continuano a incontrarsi, a dialogare e a costruire insieme il proprio futuro. Non è vero che questa catastrofe è uguale per tutti: ha scavato un solco profondo tra quei bambini che appartengono a famiglie benestanti e tutti gli altri destinati ad altre meno floride realtà. Non è vero che l’intero Paese ha fatto un balzo tecnologico e che tutti sono nelle condizioni di formarsi a distanza: moltissimi bambini, se avessero voce, Le confermerebbero che non hanno avuto possibilità di accedere a quella Didattica, che pure ogni scuola ha attivato, perché per accedervi non basta possedere gli strumenti tecnologici, c’è bisogno di avere una casa con uno spazio, un luogo in grado di garantire l’attenzione e la concentrazione che la nuova situazione richiede. E c’è bisogno, forse ancora di più, di adulti che si prendano cura di loro. In queste condizioni ancor di più la soluzione dovrebbe essere non di tenere chiuse le scuole ma, semmai, di tenerle aperte 24 h su 24 e immaginare come farle funzionare, nel rispetto delle regole dettate dall’emergenza sanitaria. Apriamo nuove classi, recuperiamo lo spazio di cui abbiamo bisogno per stare insieme, benché distanziati; usiamo tutti gli spazi interni ed esterni della scuola; dividiamo le classi in piccoli gruppi, sfruttiamo il territorio, valorizzandolo e operando per un alto fine comune; impegniamo i bambini su una progettazione comune, di cui ogni gruppo si incaricherà, portando poi agli altri le scoperte e i risultati del lavoro svolto. Gli insegnanti italiani sono in grado di sperimentare nuove modalità di apprendimento, non ripiegate sull’istruzione e sui programmi, ma aperte all’innovazione, all’incontro con altri spazi, mentali, culturali e naturali, con i quali i bambini entreranno in contatto. Ridiamo vita agli spazi dismessi o in disuso, come tanti ce ne sono nelle nostre città, per trovare aule nuove e più ampie, attrezziamoli per farli funzionare secondo le prescrizioni. Dobbiamo essere capaci di pensare a un nuovo modo di stare insieme, non a quali altre deleghe assegnare alla tecnologia. Dobbiamo ben usare la tecnologia, senza però perdere la necessaria ed indispensabile umanità della relazione educativa.   

Proviamo allora a sperimentare insieme un nuovo modo di fare scuola, inaspettato, nell’uso di spazi e tempi diversi da quelli a cui la scuola finora ci ha abituato. Del resto, nel nostro lavoro di insegnanti accogliamo ogni giorno l’inaspettato che ogni bambino cela dentro di sé, obbligandoci a sperimentare nuovi modelli di relazione. Come diceva Euripide: “L’atteso non si compie. È all’inatteso che un dio apre la via”.

Dunque apriamo la via a soluzioni ed a maggiore chiarezza sul da farsi, sollecitando proposte e risposte operative. Alla questione di principio, il diritto all’istruzione e a non considerare la scuola l’ultimo dei problemi della fase 2 italiana, si accompagna, senza giri di parole, il problema pratico: se ripartono gli adulti, chi si prenderà cura dei figli?

Non esistono solo lo scenario delle scuole aperte e quello delle scuole chiuse. Come minimo c’è una terza via, fatta di modalità ibride tra la didattica a distanza e quella in presenza, oppure fondata su una nuova organizzazione delle scuole stesse, nonché su una serie di misure di distanziamento e precauzione studiate ad hoc. Ed è proprio su quest’ultima via che molto probabilmente si svilupperà il futuro del nostro sistema d’istruzione, rispetto al quale pure la scienza (o meglio, qualcuna delle varie task force di tecnici e scienziati) è chiamata a dare un proprio parere. Bisogna cambiare prospettiva, senza aspettarci indicazioni perentorie né tantomeno certezze. Ecco perché penso che si debba immaginare in primis un progetto speciale di rientro per i bambini – che di speciale ha solo l’accidentalità di una risposta ad un’epoca drammatica- formulato con la saggezza educativa di eventi di alta normalità sociale, pensata come ri-costruzione di fiducia, ottimismo, voglia di futuro.

Come un bambino che, se ha paura, può dire: “Ti vedo, maestra, e mi passa tutto”.