‘Patrizi’ e ‘plebei’ all’I.C. Trionfale di Roma: cosa c’è di vero?
Negli ultimi giorni non si è fatto che parlare della scuola di Roma che vorrebbe separare i poveri dai ricchi, i “patrizi dai plebei”. Non c’è partito, associazione, quotidiano nazionale che non abbia voluto esprimere dissenso e indignazione. Qualche esponente sindacale è arrivato anche a esprimere preoccupazione per quella che potrebbe essere, a suo parere, la punta dell’iceberg, che sottintenderebbe, quindi, una diffusa discriminazione sociale dentro il nostro sistema scolastico. Lo stesso ministro Azzolina ha espresso inizialmente perplessità, chiedendo chiarimenti e ricordando che “La scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione”. Ma cosa c’è di vero in questa vicenda che sembra riportare indietro la storia di quasi un secolo e forse più, proprio nel momento in cui l’intero sistema scolastico nazionale si muove, in maniera convinta, verso l’inclusione?
Facciamo un passo indietro. La scuola in questione è l’Istituto Comprensivo di via Trionfale di Roma. Sul sito della scuola è stato pubblicato, tra le informazioni logistico-didattiche, uno spaccato sociologico definito da molti “classista”. La versione iniziale (poi modificata) che ha scatenato le polemiche era questa:
“L’ampiezza del territorio rende ragione della disomogeneità della tipologia dell’utenza che appartiene a fasce socio-culturali assai diverse. La scuola di via Trionfale e il plesso di via Taverna accolgono, infatti, alunni appartenenti a famiglie del ceto medio-alto, mentre il Plesso di via Assarotti, situato nel cuore del quartiere popolare di Monte Mario, accoglie alunni di estrazione sociale medio-bassa e conta, tra gli iscritti, il maggior numero di alunni di cittadinanza non italiana; il plesso di via Vallombrosa, sulla via Cortina d’Ampezzo, accoglie, invece, prevalentemente alunni dell’alta borghesia assieme ai figli dei lavoratori dipendenti occupati presso queste famiglie (colf, badanti, autisti e simili)”.
Il Consiglio di Istituto ha precisato che si trattava di “una mera descrizione socioeconomica del territorio secondo le indicazioni del Miur” e che non c’era alcun intento discriminatorio: «Nessun classismo, i dati riportati nella presentazione – si legge nella dichiarazione pubblicata da Leggo.it – sono da leggere come mera descrizione socio-economica del territorio. E’ importante chiarire che sono i genitori a scegliere uno dei 4 plessi scolastici dell’istituto. In ogni caso si ritiene opportuno rimuovere le definizioni, interpretate in maniera discriminatoria, per descrivere compiutamente i percorsi formativi e inclusivi realmente applicati».
Il Miur ha replicato: “In quei documenti è richiesta una semplice analisi del contesto al fine di definire al meglio le scelte didattiche e l’offerta formativa, nonché il percorso di miglioramento da realizzare. Tant’è che la descrizione del contesto all’interno del Rav e del Ptof, definiti dall’IC Trionfale, non contiene elementi di discriminazione. Pertanto è stata una libera scelta dell’Istituto inserire quel testo in una pagina di presentazione della scuola ad uso dei genitori, accessibile dall’home page, particolarmente visualizzata, peraltro, nel periodo delle iscrizioni”.
Ricordiamo che la preside dell’Istituto romano sul quale si è scatenata la bufera è Nunzia Marciano, nota per le sue battaglie sociali per la scuola multietnica. La quasi totalità dell’opinione pubblica si è schierata contro la presentazione della scuola, considerandola “classista”.
“Quando la scuola diventa ghetto, fallisce la sua missione” ha dichiarato la sottosegretaria all’Istruzione, Anna Ascani, “La scuola sia leva contro le disuguaglianze” ha detto il ministro della Salute, Roberto Speranza. Addirittura, il Codacons ha annunciato di essere intenzionato a sporgere denuncia: “Si tratta non solo di un gesto vergognoso e squallido, ma di un episodio che potrebbe costituire un reato – spiega il presidente Carlo Rienzi – Per questo abbiamo deciso di presentare una denuncia penale alla Procura della Repubblica di Roma contro dirigente scolastico e consiglio di istituto, in cui si ipotizza la fattispecie di istigazione alla discriminazione”.
Ma tornando dunque al nostro interrogativo: dove sta la verità? Tra i tanti commenti rimbalzati a caldo, emerge una analisi approfondita da parte della segretaria nazionale della Cisl-scuola, Maddalena Gissi, che, andando controcorrente, ha rilasciato una dichiarazione dal titolo significativamente alternativo “La lotta alla discriminazione non si fa con accuse immeritate e polemiche fuori misura”.
Scrive Gissi: “Si può senz’altro discutere sull’opportunità, e sull’effettiva utilità, di inserire nel Ptof, sia pure a fini meramente descrittivi, osservazioni riguardanti i diversi contesti sociali cui fanno riferimento i plessi di un’istituzione scolastica. Da qui a trarne lo spunto per leggervi da parte di una scuola e di chi la dirige intenti di discriminazione, segregazione e ghettizzazione ce ne corre, ed è francamente inquietante la foga con cui tante intelligenze più o meno vive della politica, della cultura e del giornalismo si sono affannate a decretare un “crucifige” che appare del tutto immotivato e immeritato se solo si ha la pazienza, e la voglia, di allargare lo sguardo oltre le poche righe incriminate”.
Ci sono altri documenti probanti, continua la Gissi, che chiariscono. “Si vada a leggere, nel Rapporto di Autovalutazione (RAV) dell’IC Via Trionfale, la sezione opportunità, laddove è scritto che “la disomogeneità socioeconomica rappresenta uno stimolo alla personalizzazione dei percorsi” e inoltre che “la presenza di alunni di cittadinanza non italiana rappresenta una risorsa e un’occasione di crescita e di arricchimento sia individuale che di gruppo”.
Ma quella scuola romana come opera? Ce lo dice l’esponente della Cisl-scuola. “Poco importa, a quanto sembra, – dichiara la Gissi – che la scuola dichiari di promuovere l’inclusione degli studenti con bisogni educativi speciali, di valorizzare le differenze culturali, di adeguare l’insegnamento ai bisogni formativi di ciascuno di tali allievi, attraverso l’utilizzo di strategie didattico-educative che favoriscano un apprendimento autentico. O che tra le priorità dell’azione didattica sia indicata “l’ulteriore riduzione della varianza degli esiti tra fasce di alunni verso il raggiungimento dei livelli alti per tutti”.
Nella sua dichiarazione la sindacalista non nasconde sorpresa e disappunto per le valutazioni espresse anche da “autorevoli commentatori, che, senza curarsi di acquisire qualche ulteriore elemento di conoscenza in più, abbiano preferito assecondare l’onda di riprovazione per presunte azioni discriminatorie operate dall’Istituto”.
Conclude la Gissi con una certa amarezza: “È infine davvero improprio, se non effetto di una cattiva coscienza, attribuire alla scuola la responsabilità per atteggiamenti di segregazione sociale che sono invece purtroppo presenti nella nostra società e risultano persino accentuati negli ultimi anni per tante ragioni, legate anche al nostro sistema di organizzazione economica (come tanti dati dimostrano); atteggiamenti contro i quali tutte le scuole, ogni giorno e molto spesso da sole, sono sempre e più d’ogni altro fortemente impegnate”.
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