Orizzonti/4. Un drappello di scuole pioniere per vincere il freno della politica miope

La digitalizzazione e la multimedialità saranno sempre più al centro dell’apprendimento futuro, che supererà le tradizionali partizioni disciplinari procedendo verso oggetti/obiettivi complessi, multidimensionali, nei quali coesisteranno elementi linguistici, fisico-matematici, estetici e magari anche musicali e filosofici, come potrebbe essere in unità didattiche (alcune già disponibili anche in Italia) supportate dalle tecnologie della realtà aumentata e virtuale. I piani di studio non potranno che essere più leggeri e personalizzati, da costruire attorno a un core curriculum essenziale (italiano, matematica, scienze, tecnologia).

Le idee guida delle politiche educative post-Coronavirus, tenendo conto anche del target 4 dell’Agenda 2030 dell’ONU (“Assicurare un’istruzione di qualità, equa ed inclusiva, e promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti”), saranno digitalizzazione, inclusione, personalizzazione. Parole chiave nel dibattito internazionale, ma di cui assai poco si parla in Italia se non in ristretti ambiti accademici, e per nulla a livello politico, con l’eccezione di alcune isolate sortite da parte di singoli parlamentari come Valentina Aprea (Forza Italia) e Anna Ascani (PD, attualmente viceministra presso il Ministero dell’istruzione).

Aggiungiamo una ulteriore parola chiave: flessibilità, nella progettazione dei percorsi di apprendimento, nella pianificazione degli orari, nella definizione del monte ore; irrinunciabile infatti il focus sulla interdisciplinarità a partire dalla progettazione per assi di conoscenza e non più per singole discipline.

La principale resistenza a una prospettiva di questo genere viene non dalle scuole e dagli insegnanti (almeno considerati singolarmente), che in occasione delle recenti vicende legate al Coronavirus hanno dimostrato grandi capacità di adattamento, disponibilità all’innovazione, creatività, evidenziate anche dal viaggio di Tuttoscuola tra le scuole innovative (La scuola che sogniamo) ma dal sistema politico italiano, che non appare in grado di sostenere una riforma di questa portata con quella ampia convergenza bipartisan che sarebbe necessaria per renderla operativa in tempi rapidi. Forse, però, si potrebbe pensare a una sperimentazione nazionale, affidata a un significativo numero di scuole dotate, per questo, di adeguate risorse aggiuntive. Imprescindibile sarebbe, in questa ipotesi, non solo la disponibilità dei dirigenti scolastici e del consiglio di Istituto, ma anche quella dei docenti i cui collegi sarebbero comunque chiamati ad approvare il piano di sperimentazione.

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