Orizzonti/2. Covid, non si sta perdendo l’occasione per un cambio di passo nella scuola?

Si sta facendo di tutto per riaprire la scuola di prima, ma poco per realizzare la scuola di cui ci sarebbe bisogno, quella che sogniamo. Mentre questo maledetto virus consegna anche l’opportunità di fare un salto avanti immediato, una sorta di mega progetto-pilota di quella che dovrebbe essere la grande partita dei prossimi lustri: immaginare sognando ad occhi aperti, progettare con lungimiranza e costruire con determinazione e costanza il sistema formativo in grado di preparare alla sfide del futuro. Che non è quello attuale, è chiaro a tutti. Con le risorse del Recovery fund e navigando abilmente l’onda del trend demografico si può costruire in un decennio”. Lo scrivevamo nella newsletter della scorsa settimana.  

La domanda da porsi oggi è: non si sta perdendo l’occasione per un decisivo cambio di passo (paradigma, modello) del nostro sistema scolastico?

Anche ammesso che le misure finora decise (e i compromessi faticosamente raggiunti in materia di trasporti e distanziamento) bastino a riavviare la grande macchina, oltre che in sicurezza, con un minimo di efficienza, ci si deve chiedere se il sostanziale ripristino dello status quo ante-Coronavirus sia nell’interesse degli studenti.

I vincoli posti dall’emergenza Coronavirus avranno un forte impatto sul modello organizzativo delle scuole, che necessariamente dovrà essere destrutturato e rimodulato. E allora, come si può trasformare un problema in una opportunità?

Del resto a prescindere dall’emergenza Covid, la scuola per i Centennials ha bisogno di destrutturare i propri percorsi, di liberarsi di alcune sovrastrutture che rischiano di soffocare le energie nuove: la rigida separazione tra discipline, gli orari categorici, l’utilizzo di una metodologia improntata alla trasmissione verticale delle conoscenze (oggi accessibili in modo facile ed efficace attraverso numerose altre fonti), elementi spesso ereditati e trasmessi come pratiche inerziali, non come scelte consapevolmente rinnovate.

C’è l’opportunità di ripensare profondamente il modo di fare scuola e la stessa relazione educativa. Ma il rischio peggiore è di affrontare il nuovo con le stesse categorie del vecchio.

Il Covid-19 ha infatti messo in luce, esasperandone le contraddizioni, i limiti dei sistemi scolastici otto-novecenteschi, tradizionalisti sul piano culturale e classisti su quello sociale: una caratteristica particolarmente accentuata nella scuola italiana, come si osserva anche nel rapporto finale della commissione ministeriale di 18 esperti presieduta da Patrizio Bianchi.

L’irruzione della DaD e delle nuove tecnologie nella prassi educativa è in effetti parte di un più ampio processo di transizione dalla società industriale a quella dell’informazione (la ‘quarta rivoluzione’ con l’avvento dell’infosfera di cui parla Luciano Floridi). Gli sviluppi della telematica e dell’intelligenza artificiale rendono ora possibili operazioni come la personalizzazione dei percorsi formativi individuali, le esperienze di flipped classroom, e la realizzazione del cooperative learning per piccoli gruppi (le cosiddette “bolle”, sperimentate in Danimarca) sia in presenza sia a distanza.

È saggio ignorare questo contesto nel momento in cui si mette mano, forzatamente, a un’organizzazione consolidata? No. Sarebbe miope.