Morta per l’amianto nella scuola. Una sentenza di condanna del Ministero che fa discutere

La Corte d’Appello di Bologna ha confermato la condanna per la morte di un’insegnante, vittima dell’amianto presente nella struttura della scuola dove la docente aveva svolto per anni attività di insegnamento tra il 1981 e il 1990.

All’interno della struttura è stata dimostrata la presenza della fibra killer dove, a respirarla, non c’era solo la docente, ma i suoi colleghi, e anche tantissimi ragazzi.

Consapevole della sua esposizione, l’insegnante aveva ottenuto dall’INAIL il riconoscimento di malattia professionale. Nel 2007, poi, aveva iniziato la procedura giudiziaria per ottenere il risarcimento dei danni; era morta nel 2017 e i figli hanno vinto la causa, ottenendo un risarcimento di 930mila euro.

Ma si tratta di una sentenza che farà discutere. Non tanto per il suo esito, più che sacrosanto, né per l’entità del risarcimento, bensì per il fatto che è stato condannato non il Comune di Bologna proprietario dell’edificio ma il ministero dell’istruzione per non aver rimosso l’amianto dalla struttura.

Già in primo grado il ministero era stato condannato; ora la Corte d’Appello ha confermato la condanna, respingendo tutti i motivi del ricorso, in particolare quello con il quale il Miur sosteneva che l’amministrazione scolastica non sarebbe stata destinataria di obblighi prevenzionistici, perché il ministero non “è mai stato titolare di competenze in materia di edilizia scolastica”.

Tale motivo è stato ritenuto infondato dai giudici, “essendo pacifico che il Ministero… riveste il ruolo di datore di lavoro e la conseguente posizione di garanzia nei confronti del personale addetto (e degli alunni) anche con riguardo all’agibilità e sicurezza degli edifici e delle attrezzature destinati al servizio”.

La sentenza di Bologna porta alla mente una sentenza di siffatta impostazione per quella dirigente scolastica, in qualità di datore di lavoro, condannata per le lesioni di uno studente precipitato da un ballatoio non pericolante che l’Amministrazione provinciale non aveva provveduto a mettere in sicurezza.

Comunque, la sentenza, nella sua massima, afferma un principio che potrebbe scardinare la logica della responsabilità sulla sicurezza degli impianti in capo agli Enti Locali proprietari degli immobili. Ma se il Ministero dell’istruzione è stato ritenuto dai giudici responsabile in quanto “datore di lavoro”, si deve forse desumere che il Ministero possa a sua volta rivalersi sul datore di lavoro effettivo dell’istituzione scolastica coinvolta, ovvero sul dirigente scolastico? La recente modifica normativa sulla responsabilità del dirigente scolastico come datore di lavoro (art. 18, legge n. 215 del 2021) dovrebbe scongiurare questo pericolo. Cosa dice la norma? “I dirigenti delle istituzioni scolastiche sono esentati da qualsiasi responsabilità civile, amministrativa e penale qualora abbiano tempestivamente richiesto gli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati”. Alla luce della sentenza della Corte di Appello di Bologna i dirigenti faranno bene, a maggior ragione, a segnalare tempestivamente situazioni di rischio di qualsiasi natura.

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