Logopedista e bambini: quando è il caso di portarli? Intervista

Logopedista sì, logopedista no. Mio figlio parla poco. Mio figlio ancora non parla, è grave? O magari, il bambino non dice frasi compiute. Preoccupazioni naturali, per un genitore. La differenza forse rispetto al passato è che oggi è maturata la consapevolezza del fatto che – ammesso e non concesso che un problema di linguaggio esista davvero – esistono anche degli specialisti in grado di affrontarlo, quel problema.

Sarà forse per questo che sempre più spesso si sente parlare di logopedia in ambiente familiare: da un lato alcuni genitori restano spaesati quando viene loro consigliato di portare i figli dal logopedista, mentre dall’altro c’è chi, spontaneamente, sceglie di far visitare il proprio figlio. Qualunque sia il caso, il dato evidente è che sempre più spesso – e in anticipo rispetto al passato – si ricorre a questa figura. Quali sono le ragioni e quando è giusto rivolgersi a uno specialista? Lo spiega a Tuttoscuola la dottoressa Olivia Bartalucci, logopedista del centro Pieralice di Roma.

Una figura sempre più presente, quella del logopedista. Troppa preoccupazione o giusta attenzione delle famiglie?
«Molto dipende dal fatto che la nostra è una società che sta cambiando. Oggi si tende a volere tutto e subito e a volte effettivamente ci si preoccupa prima del tempo. Va però detto che i bambini attualmente sono esposti molto prima all’ambiente sociale, rispetto al passato, soprattutto grazie al nido. In questo contesto un ritardo del linguaggio viene notato immediatamente. Se un tempo non si faceva troppo caso a un bambino di quattro anni che non parlava correttamente, ora è un fatto che non può passare inosservato e che spesso nasconde un problema, che a sua volta può avere delle conseguenze. Un bambino con difficoltà ad esprimersi può reagire chiudendosi in se stesso, isolandosi, oppure diventando aggressivo nei confronti di coloro che non lo capiscono. Quindi un disordine fonologico può ripercuotersi sull’aspetto comportamentale. Non solo. Un disturbo del linguaggio è spesso correlato a una difficoltà di apprendimento alla scuola primaria».

L’intervento tempestivo è importante anche per il futuro rendimento scolastico?

Dott.ssa Olivia Bartalucci, logopedista del centro Pieralice di Roma

 «Certo, un trattamento precoce può prevenire innanzitutto una successiva difficoltà di apprendimento, evitare quindi una sua evoluzione. La cosa migliore è che il bambino risolva il problema prima dell’accesso alla scuola primaria: quando seguiamo bambini con disturbi del linguaggio per 6 mesi, 1 anno, a seconda delle difficoltà presenti, consigliamo sempre di riaffacciarsi per eseguire un “ciclo prescolare” prima dell’ingresso alla scuola primaria. In tale ciclo si lavora sui prerequisiti all’apprendimento della lettura e della scrittura, attraverso un lavoro specifico metafonologico per rendere i bambini più consapevoli e più pronti ad affrontare il tanto atteso ingresso alla scuola primaria».

Come si svolge il lavoro con un bambino così piccolo?
«Si deve sempre partire dal presupposto che l’apprendimento in età evolutiva deve essere il più ecologico e spontaneo possibile. Per questo si lavora attraverso il gioco, coinvolgendo il genitore. Si costruiscono delle piccole sequenze di gioco simbolico, attraverso le quali il bambino conosce e dà un nome a situazioni tipiche della realtà che lo circonda. Ad esempio si fanno compiere azioni a una bambola o a un animale, come fare il bagnetto o mangiare. Inoltre ci si concentra sull’aspetto fonico, producendo e facendo ascoltare al bambino i suoni che tende a non produrre. Si rafforza e stimola la condivisione del gioco per ottenere una maggior attenzione nel bambino (si lavora molto sull’uso dello sguardo) in modo da favorire l’apprendimento per imitazione, come dovrebbe avvenire spontaneamente. Si possono utilizzare anche canzoni, filastrocche e melodie popolari, che consentono al bambino di familiarizzare con alcuni suoni della lingua italiana».

Oggi bambini anche piccolissimi sono esposti alla visione di molti video in lingue diverse, soprattutto su internet. Questo può confondere nell’apprendimento? 
«L’utilizzo di internet, anche nei bambini molto piccoli, è lecito, comprensibile e anche inevitabile ma deve essere concesso con intelligenza. Il genitore è responsabile e deve fare il più possibile da filtro, non consentendo a bambini di usare i cellulari autonomamente, come fossero loro oggetti, almeno fino alla scuola primaria. I video devono essere guardati su richiesta al genitore, così come quando si richiede il permesso per qualsiasi altra cosa. 
L’esposizione a diverse lingue, che avvenga a voce, come nei bambini con genitori di diversa nazionalità o che crescono all’estero o con baby-sitter straniere, o tramite i video, può avere esiti diversi a seconda del bambino e delle sue competenze di apprendimento e imitazione. Non è pertanto una variabile considerata di per sé fattore di rischio. Lo è invece con molta più certezza la tendenza all’esposizione eccessiva a video e giochi multimediali di vario genere, che riducono la capacità nei bambini di mantenere l’attenzione al di fuori di quegli stimoli facili e veloci che ci offre il video. Questo tipo di stimolo è infatti poco sociale, perché lo sguardo è fisso sugli schermi piuttosto che nell’osservazione delle azioni dei genitori o dei coetanei e non favorisce l’attenzione e l’apprendimento attivo e creativo». 

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