L’insostenibile polisemia del merito

Si può dire che il ministro Valditara, con la sua idea di aggiungere le parole “e del merito” alla storica denominazione del Ministero dell’istruzione, ha avuto il merito di stimolare un dibattito aperto, e certamente non banale, sul significato plurale, tipicamente polisemico, del termine merito?

Certo che si può dire, anche se la sua intenzione era probabilmente quella di porre l’accento soprattutto su due dei suoi molti significati: quello di serietà e impegno individuale nello studio, e quello di annullamento delle disuguaglianze, come si evince anche nell’intervista rilasciata a Tuttoscuola. La scuola italiana ha “un grande problema: di essere di fatto classista”. “Reitera le disuguaglianze di partenza”, e in questo modo “lede un principio costituzionale” (art. 34): “la scuola del Merito” vuole la riaffermazione della “possibilità che ogni ragazzo e ragazza ce la possano fare indipendentemente dalle loro condizioni di partenza, perché messi in condizione di coltivare i propri talenti”.

La parola merito ammette, come si accennava, una pluralità di significati, che vanno da capacità a qualità, pregio, dote, virtù, successo, o anche equità, giustizia: essa va dunque spiegata e contestualizzata alla luce del contesto storico-culturale.

E presuppone che si consideri che il merito può essere raggiunto per vie diverse. Per esempio: è più meritevole lo studente che ottiene ottimi risultati attraverso il leopardiano “studio matto e disperatissimo” oppure quello che raggiunge risultati altrettanto eccellenti in una scuola senza standard, senza carichi di studio obbligati, esami durissimi e selettivi? Ed è solo l’eccellenza dei risultati che va perseguita o anche l’equilibrio e il benessere psicologico dello studente? Nel mondo e nella stessa Europa, come mostrano la letteratura comparatista in modo più rigoroso, e anche le indagini internazionali promosse dall’Ocse e dalla IEA in forma più descrittiva, esistono sistemi scolastici che si ispirano a entrambi i modelli ed ottengono risultati egualmente eccellenti: da quelli accentrati, autoritari e iperselettivi di molti Paesi dell’Oriente asiatico (ma anche di certe scuole tradizionaliste europee) a quelli decentrati, flessibili e non selettivi di alcuni Paesi del Nord Europa, a partire dalla citatissima Finlandia.

Come si pone la questione del merito in contesti così diversi dal punto di vista della loro politica intesa nel duplice senso di politics (storia, identità nazionale, istituzioni) e di policies (riforme, modelli pedagogici e didattici)? Molte sono le vie consentite dalla elevata, insostenibile leggerezza polisemica del merito. Valditara e l’attuale governo sono chiamati a fare scelte possibilmente chiare e coerenti su entrambi i piani. Un compito assai difficile, da incoraggiare.

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