Medicina: non convince la ricetta malthusiana della Giannini

La recente decisione del ministro Giannini di abolire i test d’ingresso alla facoltà di medicina adottando il modello francese di una selezione rinviata di fatto al momento del passaggio al secondo anno del corso universitario  ("Ho pensato di rivisitare subito il sistema di selezione per gli studi di medicina perché quello dei test non ha dato finora prova di essere il migliore possibile") sta suscitando più proteste che consensi, se non si tiene conto di quelli, scontati, delle organizzazioni studentesche da sempre ostili ai test e al numero chiuso.

L’obiezione più forte viene dal mondo dei medici (universitari e non): come possono le facoltà universitarie di medicina reggere l’ondata di 80.000 iscrizioni quando sono preparate a gestirne un numero di gran lunga inferiore? E anche ammesso che il numero degli studenti che ce la faranno a superare lo sbarramento del primo anno sia più elevato di quello finora registrato con il ‘numero chiuso’, chi può garantire loro una seria prospettiva di lavoro?

"Quello che è certo – sostengono per esempio i giovani dell’Anaao, uno dei maggiori sindacati dei medici – è che non occorre rinunciare al numero programmato quanto alla pretesa di avere circa 10 mila nuovi medici ogni anno e di fornire solo a meno della metà la possibilità di accedere a un corso di formazione post-laurea, foriera della attuale e futura disoccupazione medica. Problemi comunque che non possono essere delegati al solo Miur – conclude il sindacato – ma esigono il coinvolgimento attivo del ministro della Salute per le evidenti ripercussioni sul sistema sanitario del Paese".

Ci sembrano considerazioni di buon senso. Chissà se spenti i fuochi di una campagna elettorale nella quale si è soprattutto cercato visibilità, si cercherà una soluzione meno cinicamente malthusiana al problema del corretto dimensionamento delle domande di iscrizione a medicina (e agli altri corsi di studio a numero chiuso).