Maturità 2019: quali effetti hanno i cambiamenti dell’esame di Stato?

Il continuo cambiamento dell’esame di maturità, ormai pressoché annuale, al contrario di quanto almeno pubblicamente affermino coloro che lo determinano, non favorisce una più moderna e rigorosa formazione scolastica, anzi, al contrario,  produce un effetto disastroso di disorientamento dell’azione e dell’impegno di docenti e allievi, dando la sensazione di eccessiva aleatorietà del modello di istruzione e dell’impianto educativo fino a quel momento adottato. Ciò, a causa dell’effetto di traino e indirizzo che le caratteristiche complessive degli esami inevitabilmente esercitano sulle decisioni e sulle azioni formative che li precedono. Il frequente cambiamento destabilizza perciò l’assetto degli studi compromettendone la coerenza interna, e nel contempo precarizza il processo di istruzione e formazione culturale, finalizzandolo strumentalmente, assai spesso, al solo superamento dell’esame. Ne abbiamo parlato nel numero di marzo di Tuttoscuola in un pezzo a firma di Gaetano Domenici, Presidente della Fondazione Roma Tre.

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Anche per queste ragioni occorre considerare il rilievo che, nel rapporto tra esami e scelte didattico-formative antecedenti, dovrebbe assumere, non solo simbolicamente, il profilo culturale e di cittadinanza, socialmente e costituzionalmente determinabile, dell’allievo in uscita dalla secondaria superiore, da una parte; e il profilo dell’allievo in uscita definito per ciascun tipo di scuola, dall’altra.

Le finalità perseguite con la valutazione nei e dei processi di istruzione formale, rappresentano infatti un indicatore della interpretazione sia delle funzioni sia del ruolo che una data società assegna alla formazione, soprattutto pubblica. Così, le soluzioni tecnico-procedurali date ai problemi della valutazione al termine di un percorso formativo, anche se non soprattutto attraverso gli esami, possono considerarsi come un vero e proprio costrutto politico-educativo oltre che teorico-culturale.

 Le procedure e gli strumenti impiegati per la verifica o misurazione del valore assunto da una o più variabili del processo di insegnamento-apprendimento, anche in chiusura di un ciclo scolastico, sono elementi che complessivamente rappresentano, come più volte ho sostenuto, un sistema teorico-pratico che oltre a derivare dall’evoluzione della ricerca di settore, dipende dal concetto di formazione dell’uomo e dal profilo di cittadino desiderato, proprio di chi impiega quel sistema, talvolta persino oltre le sue stesse intenzioni manifeste.

I Cambiamenti comunicati

Nella serie delle sue comunicazioni pubblico-private sulla scuola, il ministro dell’Istruzione ha fatto anche riferimento, come si è già detto, alle nuove modalità degli esami posti al termine della secondaria superiore. Molte di queste novità rispecchiano fedelmente, quelle contemplate dal Decreto Leg.vo 62, dell’aprile 2017, varato in attuazione delle novità valutative e della certificazione delle competenze previste della Legge 107. Altre novità derivano, invece, o dalla interpretazione, da parte del Ministro, di alcuni articoli o commi del Decreto, oppure da una sua scelta politico-culturale. Così, ad esempio, per la seconda prova d’esame, il coinvolgimento a due materie di insegnamento, esprime una scelta interpretativa del Ministro: poteva optare per una, ma anche per tre o più, discipline. Il comma 4 dell’art. 17 del Decreto afferma infatti che la seconda prova “ha per oggetto una o più discipline caratterizzanti il corso di studio ed è intesa ad accertare le conoscenze, le abilità e le competenze attese dal profilo educativo culturale e professionale della studentessa o dello studente dello specifico indirizzo”.

Non altrettanto si può dire della “struttura” del colloquio proposta dal Ministro, che prevede uno “stimolo” offerto allo studente attraverso una sorta di incipit relativo ad una questione della quale si richiede, evidentemente, un approfondimento, messo a punto dalla Commissione e sorteggiato dal candidato attraverso la scelta di una busta chiusa fra tre offerte a ciascuno. Il testo del decreto assegnava invece al colloquio (commi 9 e 10 dell’art. 17), lo scopo di “accertare il conseguimento del profilo culturale, educativo e professionale della studentessa o dello studente”; “a tal fine la commissione (…) propone al candidato di analizzare testi, documenti, esperienze, progetti, problemi per verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi propri delle singole discipline, la capacità di utilizzare le conoscenze acquisite e di collegarle per argomentare in maniera critica e personale anche utilizzando la lingua straniera. Nell’ambito del colloquio il candidato espone, mediante una breve relazione e/o un elaborato multimediale, l’esperienza di alternanza scuola-lavoro svolta nel percorso di studi.  Il colloquio accerta altresì le conoscenze e competenze maturate dal candidato nell’ambito delle attività relative a «Cittadinanza e Costituzione»”.

La proposta del Ministro – che come prevede il D Leg.vo non può non essere formalizzata che da una apposita Ordinanza con la quale devono essere “disposte annualmente le modalità organizzative ed operative per lo svolgimento degli esami di Stato” – , è stata invece quella di far avviare il colloquio d’esame, come si è detto, a partire dalla sollecitazione offerta per iscritto in una busta chiusa che il candidato dovrà sorteggiare, fra le tre messe a disposizione dalla Commissione.

Oltre a tali modifiche, è stata anche decisa la revoca della prevista rilevazione delle conoscenze e delle competenze acquisite attraverso l’esperienza di alternanza scuola-lavoro. A queste novità organizzativo-procedurali dell’esame rispetto a quanto previsto dal D Leg.vo 62, va aggiunta quella, forse la più significativa dei cambiamenti operati dal Ministro, consistente nella sospensione dell’obbligo, per l’ammissione agli esami, d’aver sostenuto le prove INVALSI durante l’ultimo anno di corso, come invece recita il comma 2 dell’art. 13 del D Leg.vo citato.

Maturità 2019: punti forti e punti deboli dei cambiamenti e delle contestazioni

Una delle contestazioni delle nuove modalità di svolgimento degli esami di Stato comunicate dal ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha riguardato la tempistica: il brevissimo tempo che intercorre tra l’annuncio pubblico (?) dei cambiamenti annunciati dal Ministro e lo svolgimento degli esami. Le critiche meno giustificabili sul piano culturale e scientifico facevano riferimento al poco tempo disponibile a studenti e docenti per familiarizzarsi con tipologie di verifica dell’apprendimento del tutto inusuali, sicché, con altrettanta ingiustificata, ma meno perdonabile ingenuità docimologico-valutativa e grande scaltrezza demagogica, il Ministro ha offerto due date per la simulazione della seconda prova, quella considerata più innovata. Una proposta che non può certo risolvere il problema dei rapporti tra esami e i processi formativi culturali e scolastici che li precedono.

 La non fondatezza di questa interpretazione sta nel fatto che i saperi e le conoscenze se sono realmente padroneggiati, permettono il loro impiego in contesti anche diversi da quelli che hanno caratterizzato il momento della loro stessa acquisizione. Se così non fosse si ridurrebbero a mere informazioni, a insiemi non sistematici e significativi di dati, concetti, nozioni. Perciò, al netto dell’effetto addestramento (consuetudine o famigliarità), che può derivare dall’uso reiterato o abituale di uno specifico strumento di verifica, i requisiti conoscitivi individuali non possono non emergere nitidamente qualunque strumento si impieghi, purché risulti congruente con le conoscenze e le competenze che con esso si vogliono rilevare, in quanto intenzionalmente promosse con l’istruzione. Il problema è proprio questo. Concerne la capacità del requisito formale, metrologico o strutturale di una prova – in questo caso degli strumenti di rilevazione dei dati valutativi utilizzati al termine di un lungo percorso di istruzione – di caratterizzare la qualità dei processi educativi e di istruzione che la precedono, cioè gli stili e le strategie di insegnamento e di apprendimento  messi in atto lungo gli itinerari esperienziali – soprattutto cognitivi ed affettivi –  che vengono allestiti e promossi per far acquisire proprio o prevalentemente tipologie di saperi, conoscenze e competenze che quella prova e quegli strumenti sollecitano.

Da questo punto di vista, una prova pluridisciplinare se ben congegnata (se cioè non è un mero aggregato di settori disciplinari giustapposti) può riuscire meglio di una monodisciplinare a far emergere conoscenze e qualità dei saperi posseduti, ovvero la cultura disciplinare e di area (relativa quindi a discipline reciprocamente limitrofe o viciniore), di chi viene chiamato a cimentarsi con quella prova. Abbiamo approfondito il tema nel numero di marzo di Tuttoscuola.

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Maturità 2019: scopri il mini ciclo di Tuttoscuola

Con il decreto legislativo numero 62 del 2017 sono state stabilite nuove modalità per lo svolgimento degli Esami di Stato della secondaria di II grado. Per aiutare i docenti, gli studenti e i genitori a capire come sta cambiando la maturità, Tuttoscuola ha realizzato un mini ciclo di webinar + GuidaPer saperne di più clicca qui.