Tuttoscuola: Il Cantiere della didattica

L’inglese è il nuovo latino?/2. Perché no

La decisione del Politecnico di Milano suscita consensi e dissensi anche perché per la prima volta l’italiano sarebbe sostituito dall’inglese non occasionalmente, per una parte degli insegnamenti, ma sistematicamente, per tutte le materie e attività e per un intero ciclo biennale di studio. Con la prospettiva non irrealistica che l’esempio del Poli di Milano possa essere seguito in breve tempo anche da altre università, soprattutto da quelle interessate ad attrarre studenti e docenti provenienti dall’estero.

Ma la proposta di fare dell’inglese la lingua di comunicazione di tutta l’area degli studi e delle professioni di tipo tecnico-scientifico (e anche di tipo economico-manageriale: vedi i corsi in inglese proposti già da tempo da università come la Bocconi e la Luiss) incontra forti obiezioni – a parte quelle ideologiche contro l’imperialismo economico-linguistico anglosassone – non solo dagli italianisti (studiosi della lingua e della letteratura italiana) ma anche da scrittori (Sandro Veronesi la definisce “una scelta disperata”) e linguisti come Luca Serianni e Tullio De Mauro.

Per Serianni la drastica rinuncia alla lingua madre nell’istruzione tecnico-scientifica può comportare una regressione nel controllo delle strutture logico-argomentative. Opinione condivisa da De Mauro a cui avviso “per quanto si possa imparare bene, una lingua straniera non sarà mai la lingua madre”. A suo avviso le lezioni in inglese possono essere “uno strumento utile, se dedicato solo ad alcune materie, che però, se abusato, può diventare dannoso”.

Certo, l’uso diretto della lingua inglese almeno un aspetto positivo l’avrebbe: quello di eliminare quel buffo e a volte un po’ patetico mix di italiano e di inglese (spesso mal pronunciato) che ha preso sempre più piede negli ultimi anni. Ma l’obiezione relativa alle gravi limitazioni al pieno e consapevole controllo dei processi mentali, e in fin dei conti alla autonomia e alla libertà dell’individuo, che scaturirebbe dalla rinuncia a pensare (riflettere, dedurre, astrarre, insomma ragionare) nella lingua materna, merita adeguata attenzione.

L’ideale sarebbe di poter affiancare la piena padronanza della lingua italiana a una altrettanto solida padronanza della lingua inglese: un obiettivo al quale tendere sapendo che, visti i rispettivi punti di partenza, si tratta di una prospettiva di medio-lungo termine.

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