“Lasci parlare il relatore! Non lo deve interrompere, ha capito? In quarant’anni non mi era mai capitata una cosa del genere”. Era davvero infuriato Massimo Baldacci, prestigioso docente di Pedagogia nell’Università di Urbino e coordinatore di una delle più seguite sessioni previste nell’ambito della Conferenza di Scuola democratica. Ce l’aveva con la voce fuori campo che si era sovrapposta a quella del relatore, che stava parlando in italiano, per avvertirlo che l’uso dell’inglese era obbligatorio, e che se avesse insistito gli sarebbe stata tolta la parola.
Al secondo avvertimento Baldacci, che aveva fatto la sua introduzione in italiano autorizzando i relatori a fare altrettanto se preferivano non parlare in inglese, è esploso nell’intimazione sopra riportata, minacciando di “far uscire la questione sui giornali”. Per la verità anche in altre sessioni qualcuno ha parlato in italiano. Così alla fine della giornata tutti gli iscritti alla Conferenza hanno ricevuto un messaggio di ringraziamenti, rigorosamente in inglese, accompagnato da un nuovo avvertimento: Starting tomorrow, we will suspend all the sessions that are not held in English (“A partire da domani sospenderemo tutte le sessioni che non si svolgono in inglese”).
Per la verità anche nei giorni successivi qualche incontro si è svolto in italiano, compreso quello a cui ha partecipato il ministro Bianchi (ma in questo caso era previsto). Ora, non c’è dubbio che accanto ad alcuni relatori e partecipanti italiani, soprattutto giovani, che si sono espressi in un buon inglese, ce ne sono stati altri visibilmente in difficoltà, che hanno parlato in un inglese a volte poco comprensibile sia per un ascoltatore italiano sia, a maggior ragione, per uno straniero non italofono. Un minimo di flessibilità e di buon senso avrebbe giovato.
A questo punto, e visto che le conferenze internazionali, soprattutto online, diventeranno sempre più numerose in Italia (ma lo stesso discorso vale anche per gli altri Paesi), c’è da chiedersi se non sia meglio prevedere in anticipo, indicandole nel programma, quali sessioni si svolgeranno in inglese e quali in italiano (o, all’estero, nella lingua nazionale). Per quanto riguarda noi, ci sono stranieri perfettamente in grado di comprendere un buon italiano, mentre ci sono italiani (e sicuramente anche stranieri) che fanno fatica a comprendere un cattivo inglese. (O.N.)
Per approfondimenti: https://www.tuttoscuola.com/uso-abuso-e-cattivo-uso-dellinglese-in-educazione/
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