Le ragioni della mobilitazione e del sit-in dei dirigenti scolastici

Il 22 novembre scorso l’Anp (Associazione nazionale presidi) incontra il ministro Carrozza, il 19 dicembre proclama lo stato di agitazione della categoria, per il 23 gennaio annuncia un sit-in davanti al ministero dell’istruzione: un crescendo che preannuncia sciopero.

È raro vedere i dirigenti scolastici scendere in piazza e annunciare azioni concrete di rivendicazione. Segno che la misura è colma.

In un documento diffuso in questi giorni l’Anp ha motivato le ragioni delle rivendicazioni della dirigenza scolastica in almeno quattro punti:

a)    Dimensionamento: In soli due anni sono state accorpate oltre duemila scuole: dalle 10.400 del 2011 alle 8.000 scarse del 2013. Ma gli alunni sono cresciuti ed il numero di plessi è rimasto invariato. Così, ogni dirigente si è trovato a gestire una quantità di lavoro accresciuta di circa un quarto. A stipendio invariato”.

b)    Dematerializzazione e altro: “Nello stesso arco di tempo, sono state introdotte nelle scuole numerose novità normative, dalla dematerializzazione di tutti gli atti agli adempimenti relativi alla trasparenza, agli appalti, all’anticorruzione. Non passa mese che uno degli innumerevoli decreti legge varati dal Parlamento non aggiunga nuovi compiti e nuove responsabilità al loro fardello. Sempre a stipendio invariato”.

c)    Sperequazione interna: “Dal 2007 si trascina poi un’altra inconcepibile violazione del principio costituzionale: a parità di lavoro e di responsabilità, i dirigenti scolastici possono essere retribuiti secondo tre diversi livelli stipendiali, con differenze anche di alcune centinaia di euro mensili, a seconda della via per cui sono stati assunti nella funzione. E questo nonostante il Governo abbia ripetutamente preso l’impegno di superare questa situazione”.

d)    Sperequazione esterna: “Nel frattempo, la prolungata moratoria contrattuale blocca ogni prospettiva di allineamento delle retribuzioni a quelle degli altri dirigenti di seconda fascia: per esempio, quelli dei Ministeri, ciascuno dei quali coordina poche unità di personale e va esente da tutti gli oneri di rappresentanza legale di una amministrazione autonoma (in particolare, sicurezza, relazioni sindacali, trasparenza, gestione appalti, previdenza). Con buona pace del precetto costituzionale che vorrebbe quantità e qualità di lavoro proporzionate alla retribuzione”.