“#LaScuolaAiutaLaScuola”: quando il gemellaggio funziona

Parlare di scuola in un momento come questo può sembrare surreale:  pochi contesti si associano immediatamente all’idea di  relazione, di socialità, di esperienza collettiva, come la scuola. Ma sono tutte categorie delle quali in questo momento proprio la scuola è costretta  a privarsi: in una situazione nella quale ci si saluta senza toccarsi, ci si sorride ma stando lontani, tale esperienza  appare semplicemente “altro”, un altro impossibile da trasporre in un ambiente che si propone di essere asettico e incontaminato. La scuola vive e si nutre quotidianamente di relazione quanto di conoscenza: se così non fosse qualsiasi maestro (esiste forse parola più bella?) sarebbe facilmente sostituibile con un robot, soluzione talmente bizzarra da non essere considerata seriamente da alcuno.

Ha senso allora parlare di “scuola a distanza”? Non è una contraddizione intrinseca?

Solo apparentemente in realtà, e per motivi diversi. Il primo, ed è persino banale esplicitarlo, è dato dall’eccezionalità del fenomeno: nessuno ne parlerebbe o oserebbe proporla se non si trattasse di uno stratagemma funzionale a superare un ostacolo: in questo caso si tratta della chiusura forzata delle scuole a causa di un’emergenza sanitaria ma potrebbe essere, ad esempio, una prolungata assenza da parte di uno studente per mille motivi diversi. In quanto tale, nessuno ha la pretesa di proporla come modello di insegnamento, ma come strategia per fronteggiare un’emergenza ha la sua ragion d’essere, eccome.

Il secondo è rintracciabile nella breve introduzione fatta: se è vero cioè che la relazione connota l’esperienza scolastica, allora dietro questa sorta di esperimento sociale dovremmo cercare soprattutto la caparbia volontà di mantenere quella relazione docente/discente all’interno della quale qualsiasi percorso di apprendimento acquista significato, fino a trasformarsi da pura acquisizione di contenuti disciplinari ad esperienza significativa. Come a dire: fatico ad aiutarti a crescere se non posso guardarti e starti vicino, ma se ora questo è tutto ciò che posso fare, questo farò.

Certo, nulla di veramente efficace è frutto di improvvisazione; un progetto tale è possibile laddove si sono poste le basi strumentali e metodologiche per una didattica diversa.

Questo è stato, all’inizio di questa drammatica emergenza, il vero problema: scoprire che la situazione ha fatto, ahimè, da cartina tornasole per mostrare le criticità di un sistema scuola ancora troppo ancorato alla tradizione e troppo poco proiettato verso il futuro.

Secondo i dati riportati da “Save the Children”, nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dello stato di emergenza sanitaria nel quale ci troviamo, il 48% degli insegnanti non aveva ricevuto adeguata formazione sull’utilizzo delle nuove tecnologie e solo uno di loro su tre (il 36%) si sentiva pronto ad utilizzarle per poter gestire un progetto di didattica a distanza.

Come spesso capita però, all’interno di questo mondo-scuola così contraddittorio ma incredibilmente ricco, la risposta è stata immediata e per certi aspetti travolgente: la campagna #LaScuolaAiutaLaScuola promossa da Tuttoscuola in collaborazione con Save the Children, è una delle tante voci davvero belle, quelle un po’ fuori dal coro, quelle che danno respiro e significato a termini  come solidarietà, gratuità, relazione. Si propone infatti di mettere in contatto scuole diverse tra loro per collocazione geografica, esperienze, background, per dare la possibilità di arricchirsi reciprocamente in uno scambio che permetta a chi non ha ancora le competenze necessarie per attuare un piano di didattica a distanza, di poterlo fare  e in tempi brevi. Gli insegnanti sono senza dubbio la categoria migliore per raccogliere la sfida, così abituati a cogliere la difficoltà, a farsene carico, a trovare soluzioni.

Con tutti i margini di miglioramento ipotizzabili rispetto a quanto fatto finora, l’Istituto Comprensivo “G. Ungaretti” di Melzo aveva  le carte in regola per inserirsi in un intervento di questa portata.

La disponibilità è stata infatti immediata : al momento molti docenti  dell’istituto hanno attivato una serie di incontri  di formazione a distanza  per i colleghi dell’I.C. Colozza Bonfiglio di Palermo, dell’I.C. Poppea Sabina di Roma,dell’I.C. 72 Palasciano nel quartiere Pianura, a Napoli; mentre  i Presidi vengono supportati dalla Dirigente, Stefania Strignano, con indicazioni e consigli di carattere organizzativo, alcune classi di questi istituti hanno addirittura fatto lezione, via webinar, con i docenti lombardi.

Consapevoli di poter contare su una sensibilità comune e su competenze pregresse che sicuramente vengono richiamate, i docenti formatori danno indicazioni molto pratiche per mettere realmente i colleghi nelle condizioni di utilizzare immediatamente gli strumenti che consentono la progettazione di una didattica a distanza: in questo momento, chi sceglie di mettersi in campo per restare vicino ai propri studenti non ha bisogno di discorsi altisonanti; necessita semmai della vicinanza di colleghi con i quali scoprire un knowhow comune e da lì partire per costruire competenze nuove.

Una volta varato il progetto, tutti si sono trovati all’interno di un flusso positivo all’interno del quale non si distinguono  più i confini dell’offerta da quelli della risposta perché quest’ultima diventa a sua volta nuova proposta, stimolo  e opportunità per tutti.

E così da un lato ci sono  formatori che commentano “Il mio esercito di corsisti oggi era molto attivo e  strasimpatico!”; dall’altro Dirigenti che ringraziano commossi per  la “sferzata di ottimismo ed energia” che è arrivata ad una platea di docenti magari un po’ paralizzata dal timore di non farcela.
Credo che tutti gli attori di questo straordinario quanto inedito esperimento sociale, prima che didattico, sapranno sicuramente dare continuità ad una relazione così forte; in fondo un processo non si arresta, semmai cambia direzione e si trasforma per volontà di chi lo tiene vivo.

C’è un grande  orgoglio nel  far parte di questo progetto, lo stesso che spinge quotidianamente centinaia di docenti ad attivarsi in mille modi diversi, tanto che i dati ci rimandano al momento un 84% di insegnanti di scuola Secondaria che riesce ad attivare lezioni a distanza e un 78% di docenti di Scuola Primaria e Secondaria di primo grado in grado di fare altrettanto.

È difficile dire se questo momento così drammatico rappresenterà  una  svolta per il panorama scolastico  italiano; la necessità di rinnovare una scuola per molti aspetti  novecentesca bussa alle nostre porte da talmente tanto tempo e con una tale forza che chi l’ha ignorata finora lo ha fatto coscientemente e per una serie complessa di ragioni, solo in parte condivisibili.
 

Probabilmente sarebbe sufficiente se tutti ripartissimo con la chiara consapevolezza che, comunque sia andata, nulla potrà mai tornare esattamente come prima: la paura e la diffidenza atavica degli insegnanti verso il digitale vanno superate e l’atteggiamento vagamente nostalgico di chi ripensa a ciò che faceva con le generazioni precedenti di studenti, non porta da nessuna parte.

Saremo tutti più disorientati ma avremo riscoperto la consapevolezza di esserci persi qualcosa negli ultimi tempi e di averlo ritrovato proprio come e quando non te lo aspetti. Come la monetina in fondo ad una tasca. Come la gioia profonda di dare e ricevere nella difficoltà.