La scuola nel nuovo contratto di governo/1

La scuola nel nuovo contratto di governo/1

Nella nostra tradizione politica è sempre accaduto che le maggioranze di governo si formassero attorno ad obiettivi affini ai quali si cercava di attribuire la capacità di indicare i traguardi da raggiungere ed i problemi da risolvere. Su tale base si andava a formare un “consiglio” dei ministri con un presidente primus inter pares.

E’ la prima volta che viene stipulato un “contratto” tra forze politiche che fino alle elezioni si consideravano alternative; non dovrebbe trattarsi dunque di un indirizzo programmatico ma di uno strumento impegnativo per i sottoscrittori, pena la risoluzione del patto stesso o l’apertura di un contenzioso da deferire ad un eventuale “consiglio di conciliazione”. Basterebbe questa impostazione per aprire una discussione dal punto di vista della legittimità costituzionale, ma quello che salta all’occhio è l’indebolimento complessivo della compagine di governo di fronte ai leader politici che lo hanno prodotto, i veri detentori del potere contrattuale, dentro o fuori la compagine dei ministri.

Qual è il collante di questa alleanza? In entrambi i contraenti si nota un atteggiamento “anti”: nei confronti dei precedenti governi italiani accusati di non guardare alle regioni più povere e della governance europea per essere tiranna con chi lavora e produce. Da una parte dunque si guarda al fisco ed alle pensioni e dall’altra ai sussidi e all’assistenza. C’è chi difende i diritti individuali e chi ricerca la coesione sociale.

Come questi due aspetti siano compatibili dal punto di vista delle risorse economiche è il cruccio di esperti che in questo periodo di sede vacante si sono profusi in analisi e stime. Diversi temi sono presenti nel documento di governo ma senza precise indicazioni di spesa; tutto questo impone di considerare il problema delle coperture.

Ma c’è un’altra questione che sembra marginale che invece incide sulla responsabilità civica degli elettori: è il centralismo statalista in cui il nostro Paese si trova invischiato, che riconduce tutto il sistema di governo a livello nazionale, facendo salire la tensione politica anche nei confronti delle elezioni regionali e locali e nei rapporti con le stessa Unione europea. In altri Paesi un maggiore decentramento fa sì che i vari territori per tante materie si possano autodeterminare risentendo meno dello stallo in cui può venirsi a trovare il governo centrale e incidendo più efficacemente  su scelte che possono riguardare direttamente le popolazioni, soprattutto nei confronti di una società sempre più interculturale, attenuando il carattere sovranistico di certe politiche e favorendo la collaborazione di amministrazioni locali di diverso orientamento. Qui senza governo è tutto bloccato.