La Francia rilancia i licei professionali

In Francia, com’è noto, il sistema scolastico offre agli allievi in uscita dalla scuola dell’obbligo l’alternativa tra tre tipi di liceo: generale (3 indirizzi), tecnico (4 indirizzi) e professionale (una trentina di indirizzi, cui si accede però da oltre 250 percorsi iniziali di formazione professionale). In sostanza, se si volesse tentare un non facile confronto con il modello proposto dalla riforma Moratti, si potrebbe dire che:
– il liceo generale corrisponde ai licei classico, scientifico, linguistico e delle scienze umane;
– il liceo tecnico è paragonabile ai nostri licei tecnologico ed economico, ma articolati in indirizzi (i 4 indirizzi di base francesi prevedono 12 opzioni obbligatorie, di cui 5 nell’indirizzo industriale e 4 in quello terziario);
– il liceo professionale (due anni) è con qualche forzatura comparabile al quinto anno di preparazione all’esame di Stato, riservato dalla riforma Moratti agli allievi che conseguono un diploma quadriennale nel “sistema di istruzione e formazione professionale“.
La differenza fondamentale è costituita dal fatto che i percorsi di accesso al liceo professionale sono organizzati in Francia nell’ambito del sistema di istruzione (salvo l’apprendistato), mentre in Italia sono attribuiti alla competenza “esclusiva” delle Regioni.
La situazione francese attuale, per quanto riguarda la filiera professionale, è non troppo diversa da quella che c’era in Italia prima della riforma dell’istruzione professionale di Stato (1992-1994), quando esistevano oltre 150 diplomi triennali di qualifica, poi ridotti a una ventina. Ora l’ormai celebre rapporto Thélot sulla scuola francese (“Per la riuscita di tutti gli allievi“), una cui sintesi in italiano è disponibile nel sito dell’ADi (www.bdp.it/adi/), consiglia di accrescere la valenza culturale, e diminuire drasticamente il numero dei percorsi professionali. Esattamente ciò che si fece in Italia con il “Progetto 92“. Sarebbe bene che in Italia si tenesse conto di tutto ciò, e che l’emanando decreto legislativo sul sistema di istruzione e formazione, che richiede la (non facile) previa intesa con le Regioni, ponesse limiti precisi alla proliferazione e all’inconsistenza culturale dei corsi. Va ricordato comunque che lo Stato, anche nella Costituzione “federalista” del 2001, ha pur sempre competenza esclusiva in materia di determinazione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale“. Anche il diritto a una buona “istruzione e formazione professionale” rientra in questo ambito.