
La cultura della valutazione da costruire
Ma cosa sanno i genitori delle prove Invalsi? Poco o nulla. Sanno a cosa servono? Forse. Lo sanno almeno gli insegnanti? È sperabile, ma non c’è da scommetterci.
L’opinione pubblica crede forse che le prove, secondo gli slogan dei detrattori, sarebbero soltanto dei quiz somministrati con strani meccanismi ai ragazzi?
Una lettera inviataci alla vigilia della prima prova da una madre che aveva partecipato ad una assemblea, indetta da insegnanti contro le prove, ha squarciato un preoccupante velo di strumentalità che, se pur circoscritto ad una minoranza di docenti, lascia capire quanta non conoscenza vi sia sulle prove e sulla loro finalità.
“In primis ovviamente – scrive la madre – vengono criticate le domande stesse: troppo difficili, non coerenti, troppo complesse non atte a valutare il lavoro svolto in classe…(frase sentita almeno un centinaio di volte).
In assemblea, continua la madre, è stato affermato inoltre che “Le prove sarebbero strettamente collegate ad una precisa volontà del ministero di privatizzare la scuola, perché i risultati negativi potrebbero portare lo stato a favorire le scuole private a discapito della qualità e quantità di quelle pubbliche”.
Volontà del ministero? Privatizzazione della scuola? Prove Invalsi per screditare la scuola pubblica?
Non c’è bisogno, ovviamente, di confutare simili sciocchezze, ma quel fatto, anche se circoscritto, fa capire come sia ancora in salita, in Italia, la cultura della valutazione come elemento intrinseco del sistema di istruzione, come avviene negli altri paesi.
È certamente più facile demolire e criticare piuttosto che condividere e concorrere a costruire a migliorare, ma sarebbe un errore non trarre insegnamento da quanto successo. L’obiettivo è e resta quello di costruire nella gente la cultura della valutazione. Non facile, evidentemente.
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